sabato 11 ottobre 2014

Zanzotto non c’è più. Ma è qui con noi


Il poeta intuì la nostra «notte dei tempi», 
per gli ambientalisti resta icona della difesa del paesaggio

Marzio Breda

"Corriere della Sera", 11 ottobre 2014

Cos’è un poeta per la gente? Se ponevi questa domanda ad Andrea Zanzotto, ti sentivi rispondere con il ricordo di un episodio accaduto tanti anni fa, in un’osteria della sua Pieve di Soligo. «Ero entrato per prendere un caffè e un tizio mi additò a un amico spiegando: quello è un poeta. L’altro girò su di me uno sguardo sbigottito e diffidente: chi?, quello là?». Non voleva crederci perché — raccontava Zanzotto con un sorriso — nell’immaginario popolare il poeta doveva essere «uno che mangia e beve senza far niente, un personaggio stravagante e misterioso, un po’ da favola, con un fascino perfino ultraumano… E in me, che parlavo in dialetto e mi tiravo dietro la borsa con i registri di scuola, non coglieva nessi tra la sua idea e ciò che vedeva». 
L’apologo del poeta vissuto dagli altri quasi come un’eccezione antropologica ci rimanda al Veneto ancora in larga parte contadino, povero e preborghese, dell’immediato dopoguerra. Quando chi scriveva versi era spesso un isolato, magari da ossequiare con deferenza anche se non se ne comprendeva l’utilità sociale. Per Zanzotto, poi, la faccenda si complicava. La sua opera, dall’impronta frastagliata e con una compresenza di stili che divenne via via anche «un brulichio plurilinguistico», risultava «poco cantabile» rispetto alla tradizione. Perché forgiata su ibridazioni così colte da renderla criptica. 
Infatti la zia Teresa, proprietaria di una cartoleria, dal giorno in cui una maestra le confessò di non aver «capito nulla» della sua raccolta d’esordio, del 1951, cominciò a raccomandare orgogliosa quel libro ai clienti della bottega: «Mio nipote scrive poesie che neanche le maestre riescono a capire». 
Dopo aver attraversato più di mezzo secolo tra boom e sboom economici, tra Prime e Seconde Repubbliche politiche, l’Italia è molto cambiata. Oggi, in «tempi che civettano sinistramente da notte dei tempi» e sotto l’incubo di un naufragio imminente, il Paese si ritrova, insieme all’Europa, a fare i conti con una crisi che è soprattutto morale. E cerca figure cui riferirsi, confidando di recuperare qualche antidoto alla disperazione. 
Sarà forse per questo che un autore «difficile» come Zanzotto è riscoperto come «uno dei poeti più europei del Novecento», a tre anni dalla scomparsa, quando di solito anche i più grandi scrittori sono spesso schiacciati in un cono d’ombra. Lui no. Lo si rilegge perché, oltre al valore letterario, i suoi testi — in versi e in prosa — hanno un profondo significato civile. Dimostrano una capacità quasi sciamanica di antevedere. Hanno dunque un senso di profezia. Educano alla verità e al «principio-resistenza», come lo chiamava lui, parafrasando il «principio speranza» di Bloch. E si rivelano appunto «moralmente indispensabili», quasi uno strumento di auto-aiuto. 
Così, non è un caso che gli ambientalisti lo abbiano eletto a loro icona per la difesa del paesaggio, con ciò che vi sta dietro e dentro , di storia e di memorie umane. Non è un caso che critici e linguisti, mentre illanguidisce la forza dell’italiano, tornino ad analizzare i processi creativi della sua scrittura «pentecostale», in quanto mossa dall’ansia di «parlare al mondo». E, ancora, non è un caso che lo recuperino storici della letteratura, ma anche della musica, dell’arte e del cinema, vista la sua collaborazione con Fellini. E che, infine, incuriosisca perfino qualche economista, visto che il poeta già trent’anni fa lanciava l’allarme contro il capitalismo brado e senza etica che si stava imponendo. 
Un miracolo, questo interesse, cominciato nei suoi ultimi anni e di cui Zanzotto stesso si stupiva, assistendo «alla piccola sglaciazione» editoriale che lo riguardava e al lavoro su di lui delle nuove leve di studiosi. Tutto questo negli ultimi mesi è lievitato con letture pubbliche, mostre, ricerche inedite (importanti quelle del Fondo manoscritti dell’Università di Pavia, diretto da Maria Antonietta Grignani), convegni (sono appena stati pubblicati gli atti di un meeting svoltosi a Parigi), saggi penetranti (su tutti, quelli di Niva Lorenzini e di Francesco Carbognin, dell’ateneo bolognese). 
Da ieri a onorarlo sono Pieve di Soligo, Solighetto e Cison di Valmarino, sindaci in testa, con tre giorni di dibattiti fra critici di 11 università, testimonianze, concerti, recital, visite nei luoghi evocati nelle sue poesie. «Assenza / Più acuta presenza»: così recitano alcuni celebri versi di Attilio Bertolucci. Valgono in particolare per Zanzotto, perché indicano quale eredità possa lasciare chi, scrivendo, ha saputo vivere oltre se stesso.

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