lunedì 9 giugno 2014

La parabola di Rimbaud


Da poeta a mercante, il giro di boa di un artista
Un mistero della storia letteraria: 
Vito Sorbello prova a ripercorrere la strana «conversione» 
pubblicando nuove lettere e documenti

Felice Piemontese

"l’Unità", 8 giugno 2014

QUELLO CHE RIGUARDA ARTHUR RIMBAUD È, CON OGNI PROBABILITÀ, IL PIÙ AFFASCINANTE MISTERO DI TUTTA LA STORIA LETTERARIA. Come sia stato possibile, cioè, che alcuni dei versi più belli e complessi della poesia francese, e universale, siano stati scritti da un ragazzo non ancora ventenne, che poi ha interrotto per sempre ogni attività letteraria, riducendosi a fare il mercante all’altro capo del mondo. Un mistero sul quale si sono interrogati storici e critici della letteratura, psichiatri e psicoanalisti, testimoni e compagni d’avventura, senza che nessuna delle risposte che hanno dato appaia soddisfacente. A riproporre la questione, ecco ora la pubblicazione, per Nino Aragno, di due volumoni di corrispondenza, curati da Vito Sorbello, col titolo Non sono venuto qui per essere felice (pp. 920). 
Naturalmente, la corrispondenza rimbaudiana è ampiamente nota agli studiosi. Sia l’edizione della Pléiade italiana che quella dei Meridiani delle Opere le riservano ampio spazio. La caratteristica del lavoro di Sorbello (cui dobbiamo, tra l’altro, la pubblicazione integrale del Journal dei fratelli Goncourt) è di pubblicare non solo tutte le lettere scritte da Rimbaud e arrivate fino a noi (alcune ritrovate abbastanza di recente) e quelle a lui indirizzate, ma anche documenti di cui il poeta non è né il destinatario né il firmatario ma che fanno luce su episodi e circostanze della sua vita. E insieme a documenti di varia natura - articoli di rivista, annunci di giornale, rapporti di polizia, atti giudiziari, dichiarazioni di confidenti - «che ricostruiscono il fondale storico in cui si svolse l’avventura esistenziale e artistica di Rimbaud». 
Un’avventura che si svolge sotto i nostri occhi increduli, nonostante i tanti libri letti, le biografie, le ricostruzioni più o meno romanzesche. Ecco il ragazzino quindicenne che chiede disperatamente libri che lo aiutino a uscire dalla soffocante atmosfera provinciale, e quello appena un po’ più grande che scrive parole destinate a incidere profondamente sull’idea stessa di letteratura («lavoro a rendermi Veggente», «si tratta di arrivare all’ignoto mediante lo sregolamento di tutti i sensi»). 
Ecco l’arrivo a Parigi (dopo i fermi per vagabondaggio e accattonaggio) con l’effetto di una bomba sui compassati poeti dei circoli letterari «perbene». Su uno in particolare, Paul Verlaine, che abbandonerà moglie e figlio per imbarcarsi nel più folle dei rapporti, tra Londra e Bruxelles, fame e grandi bevute, litigi furibondi e improvvise rappacificazioni, minacce di suicidio, fino ai colpi di pistola esplosi contro il giovanissimo amico e la prigione, comprensiva di degradanti esami corporali (va ricordato in proposito il recente Una sconosciuta moralità di Giuseppe Marcenaro). 
Manca poco al più sorprendente degli sviluppi. Se non si può «cambiare la vita» (dopo Rimbaud motto di tutti i movimenti d’avanguardia dell’ultimo secolo) si può sempre cambiar vita, dice Sorbello, e non si può immaginare cambiamento più radicale di quello che Rimbaud apporta alla propria esistenza. Diventa viaggiatore - l’elenco dei posti in cui è stato occupa una pagina - prima di trasformarsi in mercante, in luoghi che ancora adesso sono tra i più remoti e «difficili » che si possano immaginare: Aden, l’Abissinia. 
Mercante di caffè, di spezie, di fucili, di qualunque cosa si possa commerciare. E non solo non scriverà più un verso, ma sembrerà aver rimosso completamente quel se stesso poeta, cui non dedicherà mai nemmeno il più piccolo cenno nella corrispondenza con i familiari, fitta di conti, di richieste di manuali pratici, di lagnanze («non stupitevi se scrivo poco: il motivo principale è che non trovo mai niente da dire. Che volete che vi si scriva da posti simili? Che ci si annoia, che ci si scoccia, che ci si abbrutisce, che se ne ha abbastanza ma non si può finire»…) 
La cosa paradossale è che mentre Rimbaud in Africa porta fino alle estreme conseguenze il suo processo di trasformazione in avido mercante deciso a non farsi sopraffare dai suoi occasionali compagni d’avventura, nella lontana Europa il suo mito comincia a svilupparsi e a crescere, grazie anche al mistero che ne circonda la scomparsa. Qualche lettera riguardante la sua poesia, che nonostante tutto lo raggiunge, rimane senza risposta e tutti lo credono morto. Morirà davvero, a 37 anni, dopo un drammatico ritorno in Europa, indifferente al fatto di essere considerato, con Baudelaire, il massimo poeta dell’800 francese.

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