giovedì 27 marzo 2014

E il re bruciò i Templari per fare cassa


Una mostra a Genova ripercorre la storia dell’ordine cavalleresco: 
dalla fondazione al rogo del Gran maestro

Teodoro Chiarelli

"La Stampa", 27 marzo 2014

Una storia di tonaca e spada lunga due secoli e soffocata brutalmente nel sangue. Anzi, nei roghi: l’ultimo giusto settecento anni fa. È il 18 marzo 1314, Jacques de Molay, ultimo Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri del Tempio, viene bruciato sulla pubblica piazza a Parigi per ordine del re Filippo IV il Bello, complice una bolla di legittimazione di papa Clemente V. Accusati di eresia e di ogni tipo di nefandezza, i monaci guerrieri dell’ordine nato per proteggere i pellegrini in viaggio verso la Terrasanta vengono perseguitati, inquisiti e brutalmente sterminati. Le loro immense proprietà e le loro enormi ricchezze sono confiscate dal re. E qui vengono fuori le vere ragioni di un’operazione che è ben poco religiosa, ma piuttosto politico-economica. Filippo IV era pesantemente indebitato con l’Ordine del Tempio. Cancellando i Templari prende i classici due piccioni con una fava: estingue il debito e incamera una fortuna.
A nulla servirà l’appassionata autodifesa di de Molay sull’ortodossia dell’Ordine. Al concilio convocato a Poitiers da Clemente V, il portavoce del re di Francia chiede al Papa di attivarsi affinché l’Ordine templare sia ripudiato dalla Chiesa, in caso contrario il Papa sarebbe stato abbandonato dal più cristiano dei sovrani. Clemente V cede al ricatto e i Templari sono condannati al rogo. Proprio le ricchezze, il senso di autonomia, i caratteri esotici della religiosità templare sono gli elementi che risulteranno decisivi per lo scioglimento dell’Ordine.
A 700 anni dal rogo di Parigi, una mostra a Genova, nella Commenda di San Giovanni di Prè (gioiello medievale di singolare bellezza costruito nel 1180 come luogo di assistenza a pellegrini e crociati che si recavano o tornavano dalla Terrasanta), a due passi dall’Acquario, ripercorre la vicenda dei Templari in maniera scientifica. La rassegna, «Templari, storia e leggenda dei cavalieri del Tempio», si inaugura domani e resterà aperta fino al 2 giugno. Curata da Cosimo Damiano Fonseca e Giancarlo Andenna, conta sul contributo di studiosi di livello internazionale e sull’alto patrocinio del Pontificium Consilium de Cultura
Un percorso tra il XII e il XIV secolo attraverso importanti reperti storico-artistici, alcuni esposti per la prima volta al pubblico: il codice pergamenaceo La regola dei Cavalieri del Tempio dalla Biblioteca Nazionale dei Lincei di Roma, i documenti del processo ai Templari dell’archivio segreto Vaticano, il San Pietro di Simone Martini dal Museo dell’Opera del Duomo di Orvieto, la Madonna del colloquio di Giovanni Pisano dal Museo dell’Opera del Duomo di Pisa, le lastre tombali di alcuni cavalieri templari dall’Abbazia di Fontevivo di Parma e dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli. 
La nascita dell’Ordine del Tempio è considerata uno degli avvenimenti chiave della storia europea: la creazione di una forza, per la prima volta universalmente riconosciuta e riconoscibile, di un’idea di bene e di valori comuni e condivisi, che risulteranno fondanti per i sistemi di governo futuro. La protezione dei deboli, la virtù e l’abnegazione al servizio del compimento del dovere, la subordinazione degli interessi particolari a un concetto di bene universale, rappresentano le nuove parole d’ordine di una comunità del coraggio e della cavalleria. 
Scrivendo De laude novae militiae Bernardo di Chiaravalle si inserisce nello scontro tra il pontefice Innocenzo II e l’antipapa Anacleto II. A essa si ispirano i milites (i sette fondatori guidati da Ugo da Payns) per darsi una propria Regola di vita quotidiana di cavalieri al servizio dei pellegrini diretti in Terrasanta. Nascono così le loro leggendarie fortezze, chiamate Baghras, Safita, Atlit o Castello dei pellegrini. Ma l’Ordine tesse anche una rete di rapporti con il Regno di Gerusalemme, i sovrani cattolici e i loro nemici più fieri come Saladino. Riccardo I parte per la crociata nel 1192, sconfigge più volte Saladino, ma non riconquisterà Gerusalemme. I Templari, intanto, si espandono in Europa. 
I cavalieri si considerano i guerrieri eletti del Cristo. L’etica di base dettata da San Bernardo viene ulteriormente sviluppata associando ai Templari il tema del sacrificio (coloro che davano il sangue per la salvezza del Cristianesimo e della Terrasanta) e della passione di Cristo. Il segno del sangue (esplicitamente richiamato dalla Croce Rossa), che era loro simbolo esclusivo, diventa un elemento fondamentale. 
Divenuti ormai troppo potenti, i Templari e le loro ricchezze finiscono nel mirino di Filippo «il Bello». E iniziano i roghi.


Un mistero nato nell’età dei Lumi

Mario Baudino

Non ci sono paragoni, come diceva una famosa pubblicità. La popolarità dei Templari umilia qualsiasi altro ordine e istituzione del Medioevo. Non da ieri, non certo da Dan Brown, l’ultimo in ordine di tempo ad attingere a questa inesauribile fonte di successo. E dire che in sé non erano poi tanto diversi da altri ordini monastici o cavallereschi, come quelli di Malta o gli antipatici cavalieri Teutonici; e che, persa la Terrasanta, non hanno combinato granché. La loro sfida storica è stata semmai di reggere come multinazionale finanziaria.
Ciò che dei Templari ha affascinato la nostra cultura a partire dal Settecento è la loro caduta, il rogo di Jacques de Molay, l’espropriazione dei beni avvenuta soprattutto in Francia, la fantasia esoterica profusa nei processi, presa a volte sul serio anche da storici accademici, fra mille polemiche. Tutto questo è diventato un archivio straordinario che dal Secolo dei Lumi non ha cessato di produrre narrazioni: soprattutto quella dei Templari sopravvissuti come ordine segreto e padroni dei destini del mondo.
In tutti i presunti «misteri» della storia un cavaliere con la croce sul petto è così divenuto d’obbligo, dagli eretici Catari al Graal alla Sindone a leggende recentissime come quella di Rennes-les-Chateau. Umberto Eco (nella Storia delle terre e dei luoghi leggendari, Bompiani) li ritrova spesso sul cammino. E cita a questo proposito, lui laico senza se e senza ma, un aforisma attribuito a Chesterton: «Quando gli uomini non credono in Dio, non è che non credano a nulla: credono a tutto».

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