sabato 15 febbraio 2014

La memoria salvata dei grandi latini



Così l’Occidente ritrovò le sue radici

Una nuova «Storia» di Laurens spiega la riscoperta dei capolavori

Armando Torno

“Corriere della Sera“, 15 febbraio 2014

Esce in questi giorni, presso la prestigiosa casa editrice parigina Les Belles Lettres, una Histoire critique de la littérature latine di Pierre Laurens. Professore alla Sorbona e corrispondente dell’Istituto, studioso di fama internazionale, ha curato tra l’altro opere quali l’Africa di Petrarca o il Commento al Simposio di Platone di Marsilio Ficino; l’ultimo suo saggio, uscito in edizione rinnovata nel 2012, L’Abeille dans l’ambre, L’Ape nell’ambra, evoca l’avventura dell’epigramma dall’epoca alessandrina alla fine del Rinascimento. Ora Laurens, che ha anche curato testi dell’Antologia greca, scrive quella storia della letteratura latina che mancava. «Critica» è da intendere in senso lato: fa vivere il patrimonio lasciatoci da Roma attraverso il lavoro degli scopritori, dei curatori, degli interpreti che hanno condizionato il nostro modo di leggere la grande cultura che nacque o si incontrò nella città di Romolo. Abbiamo incontrato Pierre Laurens, in occasione dell’uscita dell’opera.
Professore, ci può confidare qualcosa di questo suo lavoro? 
«Non ho scritto una storia tradizionale o filologica della letteratura latina. Ce ne sono già, e molto buone: basti pensare a quelle di Ettore Paratore o di Gian Biagio Conte in Italia, o a quelle di Jean Bayet o di Pierre Grimal in Francia. Si potrebbe dire che tutto è stato messo a norma: le biografie, l’elenco e il contenuto delle opere, le periodizzazioni, le conquiste, le influenze. Io racconto invece la storia delle appropriazioni». 
Che cosa intende dire? 
«Semplicemente cerco di ricostruire l’idea che a poco a poco si è formata di un certo autore e della sua opera». 
Potrebbe fare un esempio? 
«Comincerei dicendo che la perdita delle opere di taluni autori è stata enorme. Prenda Tito Livio: dei 142 libri che scrisse, ne sono giunti a noi 35. Ma Dante conosceva soltanto i primi 10 (ecco l’influenza nella Monarchia ), giacché la terza decade la scoprì Petrarca ad Avignone. Questo grande poeta fu il primo a riunire quasi quanto noi conosciamo dello storico romano, come ha dimostrato Giuseppe Billanovich in un articolo esemplare del Warburg Institute. Ma la terza decade è quella che tratta delle guerre puniche e, in questa vicinanza, nascono la Vita di Scipione e l’Africa . Più tardi sarà Machiavelli a riflettere su tale materia». 
Certo Livio non è il solo... 
«Assolutamente no. Prenda un altro caso clamoroso, reso noto anche da un celebre film di Fellini: nel Medioevo non si conosceva la Cena di Trimalcione, giacché erano noti soltanto due episodi del Satyricon di Petronio Arbitro. Sarà Poggio Bracciolini, vissuto tra il 1380 e il 1459, a portare una prima parte della Cena dall’Inghilterra. Tutta la Cena, come la leggiamo noi, si conoscerà soltanto nel secolo XVII, ovvero al tempo di Pascal e di Galileo». 
Una parte della letteratura latina è quindi venuta alla luce lentamente... 
«Molta è anche scomparsa. Se dovessimo utilizzare dei numeri per tentare un bilancio quantitativo, dovremmo dire che abbiamo identificato di essa 772 autori, di questi 144 sono quelli conservati (è il 20 per 100), di 352 ci restano soltanto frammenti, ma 276 non sono altro che nomi. Facciamo un confronto con la letteratura francese: è come se noi avessimo una strofa della Chanson de Roland, se di Racine si fosse perso tutto (mi riferisco a Varius) e così pure di Lamartine (penso a Gallus). Interi generi sono andati smarriti e di essi è magari sopravvissuta una riga sospetta» 
Noi comunque abbiamo un’idea... 
«Certo, ma c’è voluto un lavoro gigantesco per colmare le grandi lacune e per ristabilire le prospettive; insomma, per avere un’idea generale. I secoli hanno conosciuto uno sforzo eroico per ricostruire questa letteratura vicina geograficamente, ma delle cui opere ci sfuggono molte ragioni. Senza le testimonianze lasciate da poligrafi, storici, grammatici, la polvere di testi che ci offre cenni e semplici profili della prima epopea latina (Ennio), dei primi procedimenti brancolanti della storia (gli annalisti), della prima elegia (Gallus), delle tragedie perdute di Varius o di Ovidio sarebbe materia insignificante». 
Quindi nel suo libro... 
«...ho cercato di capire come un testo è arrivato a noi, non solo come i filologi hanno lavorato. Non a caso, nel sottotitolo, ho scritto “Da Virgilio a Huysmans” e non “Da Omero a Erasmo”. Insomma, dopo il prezioso contributo dei filologi è cominciata una critica che si è quasi appropriata del tesoro e ha consentito all’umanità di assimilarlo o, pensando a Petronio, di digerirlo. Huysmans è uno scrittore ma quel che lascia, appunto, di Virgilio diventa quasi tendenza per una generazione: basta rileggere il giudizio che fa proferire in À rebours a Des Esseintes per rendersene conto. Non sopporta “colui che gli insegnanti chiamano il cigno di Mantova” e in particolare la sua Eneide, a causa dei “pastorelli infiocchettati”, degli “esametri di latta” eccetera. E Hugo? Una sua allegoria, che si trova in un saggio su Shakespeare del 1864, propone una gradazione di lune decrescenti che gravitano attorno a un loro sole. Scrive: “Virgilio, luna di Omero; Racine, luna di Virgilio; Chénier, luna di Racine, e così di seguito sino a zero”». 
Qualche autore riabilitato o di nuovo giudicato dopo secoli? 
«Ne ricordo tre significativi. Innanzitutto Tacito. Boccaccio conosceva le Storie e la seconda parte degli Annali (la prima sarà nota all’inizio del XVI secolo). I giudizi su di lui nel Cinquecento si fanno sempre più attenti e precisi. Montaigne, tra gli altri, dirà che è “un vivaio del discorso etico e politico”. Poi Giovenale, per troppo tempo deprezzato a profitto di Orazio. Hugo segnala l’epopea di certe sue satire. Infine Claudiano, morto nel 404 della nostra era: sarà l’Ottocento, nel periodo cosiddetto decadente, a metterlo in una giusta luce». 
La sua ricostruzione non è soltanto legata agli autori... 
«Certo. Non ho dimenticato che la letteratura latina è stata intesa come un modello e in taluni momenti della storia l’antichità venne assimilata a bellezza, patria ideale, saggezza; con i valori che si scoprirono si desiderò costruire un mondo nuovo. Fu il sogno dell’Umanesimo. Da qui nasce anche un discorso morale che oltrepassa la cerchia degli specialisti. È la vera ricchezza dell’Occidente. E gli scrittori sono diventati i custodi o, a seconda dei casi, gli esattori di questo patrimonio». 
Ma non tutti i latini sono stati accolti... 
«...con il sorriso. Non si contano le resistenze per l’ateismo di Lucrezio, per l’impudicizia di Ovidio o per le trivialità di Marziale. Il dibattito che si sviluppa nei secoli fa da testimone e illumina le questioni. A questa vicenda hanno collaborato filosofi e filologi, editori, traduttori e interpreti, critici e scrittori. Dirò alla fine che Virgilio appare come il più stabile. Nonostante Huysmans».

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