domenica 12 gennaio 2014

Il giro del mondo in biblioteca


Paulo Mauri

“La Repubblica“, 12 gennaio 2014

Chissà se nella biblioteca di Alessandria d’Egitto hanno finalmente risolto il problema acustico dovuto alle gambe delle sedie spostate dai lettori. Lettori che hanno a disposizione una sala immensa e molto ben illuminata, ma un numero di libri ancora limitato e con qualche esclusione “mirata”. Non ci sono, per esempio, I versi satanici di Salman Rushdie, che però, assicura la direzione, si possono leggere in traduzione, così come mancano altri libri sospetti di poca correttezza verso l’Islam. Fu costruita sul finire del secolo scorso, non senza qualche polemica perché le ruspe avrebbero sacrificato reperti della biblioteca antica: quella che secondo una vulgata Cesare avrebbe fatto bruciare con suprema indifferenza. Luciano Canfora attribuisce invece l’incendio al Califfo Omar nell’anno del Signore 640. La Biblioteca di Alessandria è nell’immaginario di molti la biblioteca per antonomasia, anche se nessuno ovviamente ha mai visto la biblioteca antica e quella nuova è bellissima ma nuova, appunto, e potrebbe essere dovunque nel mondo. Così la nuova Bibliothèque National di Parigi, intitolata a Mitterrand, criticatissima perché d’inverno si scivola su certe pendenze dell’entrata, non ha certo il fascino della Richelieu, antica sede ora in via di ristrutturazione, dove si conservano preziosi fondi antichi, documenti rari e molte carte di scrittori (tra le ultime acquisizioni ci sono anche quelle di Tabucchi). Quando la Biblioteca Nazionale di Roma era ospitata nei palazzi del Collegio Romano, frequentarla aveva un sapore ben diverso dal mettere piede nei saloni lucidi della nuova sede costruita in mezzo alle caserme di Castro Pretorio, ma — e lo sa chiunque abbia in casa anche una modesta biblioteca personale — gestire e aggiornare un patrimonio librario non è facile. E certo non è facile il compito delle biblioteche nazionali che devono per legge possedere e schedare ogni libro pubblicato, a costo di scoppiare e di essere costantemente in emergenza.
Comunque, Alessandria docet, c’è sempre qualcuno in qualche parte del mondo, che vuole incendiare i libri nemici e non è affatto vero che i roghi siano finiti con quelli dei nazisti. Nel 1992 i serbi hanno incendiato la biblioteca di Sarajevo e all’incirca dieci anni dopo sono state devastate le biblioteche dell’Iraq “liberato” dagli americani. Per paradosso il tiranno Saddam Hussein, con un gesto politico e non certo culturale, aveva staccato un assegno da ventun milioni di dollari (uno in più del principe degli Emirati Arabi, Feisal) per finanziare la costruzione della nuova biblioteca di Alessandria.
Confesso che frequento malvolentieri le biblioteche immense, anche se non manco mai di visitarle, magari solo per dare un’occhiata ai cataloghi. A Buenos Aires, per esempio, è inevitabile fare un salto alla Biblioteca Nazionale per rendere omaggio a Borges che ne fu il direttore. E Borges ci autorizza a dire che, dopotutto, anche le biblioteche immaginarie hanno una loro esistenza e una loro capacità di accogliere il lettore (sempre di lettore si tratta). Borges, con la sua biblioteca di Babele che poi è l’Universo, si qualifica subito come un estremista del libro. Elias Canetti destina al fuoco la biblioteca del sinologo dottor Kean, protagonista del romanzo Autodafè. Abbiamo assistito al suo ampliamento, visto che Kean ha eliminato le finestre per poter aumentare i suoi scaffali. Ma ha anche sposato, nel corso del romanzo, una incredibile tiranna popolana ignorantissima che se ne infischia dei suoi libri e del sapere e che lo ridurrà allo stremo. La cultura combatte con la barbarie, è un topos. Un’altra biblioteca immaginaria che ormai è divenuta leggenda è quella descritta da Eco neI Nome della rosa anche se qualcuno gli ha rimproverato di aver messo troppi volumi in una biblioteca medievale: ottantasettemila, mentre nel Trecento le biblioteche si potevano al più permettere venti codici e trecento manoscritti, come racconta Lucien X. Polastron nel suo Libri al rogo. Già, anche Eco fa bruciare la sua biblioteca.
Il nome della rosa, come si sa, ruota intorno a un’opera perduta di Aristotele. Non è facile che in una biblioteca si trovi un’opera perduta di un grande autore, ma non è nemmeno da escludere a priori. Chi frequenta una grande biblioteca non sa mai quali libri può trovare, mentre è escluso che possa fare scoperte sorprendenti nella propria biblioteca, dove tutto gli è noto. Così per esempio ragionava un grande studioso, Carlo Dionisotti, per lunghi anni insegnante di letteratura italiana a Londra e frequentatore della British Library.
In Italia abbiamo la fortuna di poter entrare in molte biblioteche più o me-no rimaste come erano quando furono fondate ed è un vero piacere per gli occhi muoversi, per esempio, nella grandiosa sala della seicentesca Biblioteca Angelica di Roma che ha un notevole patrimonio librario proveniente dai lasciti di vari cardinali e anche, dal 1940, il fondo librario dell’Arcadia di cui ora è praticamente la sede. L’Angelica fu una delle prime biblioteche a essere aperte al pubblico, così come la quasi coeva Biblioteca Ambrosiana fondata a Milano dal cardinal Borromeo, proprio quello citato dal Manzoni come un sant’uomo, mentre un recente studio di Edgardo Franzosini (Adelphi) racconta che proprio santo non era. Comunque la Biblioteca è lì e accanto c’è la Pinacoteca, sempre voluta dal Borromeo, dove si può ammirare tra l’altro (e l’altro è moltissimo) il famoso Cesto di frutta del Caravaggio. A Ventimiglia ho avuto modo di frequentare anni fa la Biblioteca Aprosiana, fondata appunto da Angelico Aprosio (siamo sempre nel Seicento) che oltre a sbrigare oggi l’ufficio di biblioteca pubblica, conserva anche un buon fondo antico, in gran parte dovuto al fondatore. Ci lavorò per qualche tempo lo scrittore Francesco Biamonti.
Quando tutto sarà digitalizzato e tutte le biblioteche saranno raggiungibili con il computer rischieremo di perdere lo spettacolo dei libri e delle cattedrali che li contengono? Mi auguro di no: per secoli i libri di carta ci hanno fatto una compagnia straordinaria. E poi la “birbioteca”, come la chiamava maliziosamente il Belli, è un luogo e non deve diventare un non luogo. Quando a marzo riaprirà al pubblico dopo la pausa invernale ci sarà una ragione in più per visitare il castello di Masino, nel Canavese, già della nobile famiglia Valperga e da oltre vent’anni proprietà del Fai che lo ha ristrutturato in modo mirabile. E la ragione sarà proprio la grande e antica biblioteca che il Castello contiene e che ora è stata riordinata e schedata. Il primo volume del catalogo è appena stato pubblicato da Interlinea, con magnifiche fotografie, a cura di Lucetta Levi Momigliano e Laura Tos. In quelle sale, amico dell’eruditissimo Tommaso Valperga di Caluso, che era il padrone di casa, circolava l’inquieto Alfieri. E le sue opere in varie edizioni sono ben presenti nella biblioteca del castello.

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