domenica 15 settembre 2013

Variazioni su Eros e Psiche


Tema caro ai pittori del ’500 sentito anche dai moderni

Renato Barilli

l’Unità“,  6 settembre 2013

COME BEN SI SA, IL MONDO CLASSICO GRECO-ROMANO HA PARTORITO MITI ECCELLENTI, CANTATI DAI POETI DELLA LATINITÀ, quali Ovidio e Apuleio. Tra questi, spicca il vincolo drammatico tra Eros e Psiche, pieno di risvolti complessi, che si prestano a infinite interpretazioni allegoriche. Per semplificare, diciamo che in sostanza è lo scontro tra la componente umana, Psiche, mossa dal bisogno di dialogare con la divinità, in questo caso Eros, o addirittura di sfidarla, superando i tabù che il potere divino le impone. Psiche non resiste alla tentazione di guardare il volto di Eros, mentre giace in letto con lui, del che viene punita, dovendo affrontare un lungo processo di espiazione.
Del tutto analogo il mito di Orfeo e Euridice, anche in questo caso il protagonista umano viola il veto divino, contempla l’amata, ma così la perde. Il primo di questi miti, sempre coltivato nei secoli, è risultato particolarmente caro agli artisti del primo Cinquecento, dal massimo Raffaello, che ne ha condotto una splendida illustrazione a Roma, Villa Farnesina, ai due allievi, a loro volta capofila dei Manieristi, Perin del Vaga, che ha dipinto quella medesima fascinosa vicenda in Castel S. Angelo, e Giulio Romano, che le ha dedicato una stanza a Mantova, Palazzo Te. In quel particolare momento storico, sospeso tra le ultime fiammate dell’Italia delle Signorie e l’imporsi delle grandi monarchie centralizzate di Francia e Spagna, il mito dell’ardimento umano si coniugava con l’altro di segno opposto che vedeva i giganti, cioè gli umani insuperbiti, tentare di dare la scalata all’Olimpo, da cui però erano miseramente ricacciati al suolo. Questo secondo tema domina la stanza più famosa dipinta da Giulio nel medesimo Palazzo Te.
Non ci stupirà quindi che la triste storia di Eros e Psiche sia stata fatta oggetto di mostre, in quei due luoghi deputati, a Castel S. Angelo l’anno scorso, e ora nel luogo mantovano d’eccellenza, con appendice in un minore, per prestigio, Palazzo di S. Sebastiano. Dominano, come è ovvio, statue di provenienza da un patrimonio archeologico, ma a dire il vero ci appaiono molto stereotipate, con una Psiche non particolarmente mossa da palpiti ed emozioni, congelata anzi in una assorta eternità. Pare quasi che il mito sia stato sentito meglio nei tempi moderni, un anonimo caravaggesco, noto come il Maestro del lume di candela, in una tela conservata a Teramo coglie proprio l’attimo dello svelamento, quando nel cuore della notte Psiche perlustra al lume di candela il volto dell’amato.
Ma al difficile compito sono attesi soprattutto gli artisti dell’Otto e Novecento, che se da un lato devono rispettare i dati esteriori della vicenda, da un altro devono anche introdurre gli indici di deformazione propri dei nostri codici dominanti. Se la cavano bene l’insuperabile maestro della scultura ottocentesca Auguste Rodin, che ci propone la coppia congiunta in un nodo dinamico quasi inestricabile, e anche un suo tardo seguace come il nostro Giacomo Manzù sfrutta bene il suo linguaggio figurativo per fornirci un’immagine veritiera del viluppo dei due corpi, con tanto di vesti ugualmente attorte nell’abbraccio.
Altri invece, in forza del loro stile, sono tenuti a prendere le vie del riferimento puramente analogico e da lontano, Lucio Fontana ci propone una delle sue sfere informi con due voragini d’entrata, forse le porte attraverso cui i due amanti si sono insinuati per costituire un unico corpo. Salvador Dalì si avvale della carta vincente del suo repertorio, quella di ricorrere a forme liquide, come dire che la forza di eros discioglie, liquefà i nostri sentimenti. Ma in questa sorta di gara a chi riesce meglio ad alludere alla storia d’amore e morte senza passare per riferimenti espliciti vince probabilmente il testimone più giovane, Alfredo Pirri (1957), che ha deciso di lavorare proprio nella stanza del Palazzo Te consacrata a quell’episodio, limitandosi a stendere sul pavimento uno strato di vetri infranti, che rispecchiano gli affreschi delle pareti e del soffitto, ma intendendo dire che qualcosa è andato per traverso, che il sogno umano si è infranto, si è ridotto in pezzi. Qualcosa del genere ha fatto pure nella sublime stanza della caduta dei Giganti un ospite invitato a un intervento monografico, Fabrizio Plessi, inserendo in quello spazio un sistema di piani inclinati e di scorrimento, quasi per tentare una mediazione tra noi poveri esseri mondani e l’alto dei cieli.

Amore e Psiche, la favola dell’anima, a cura di Elena Fontanella Mantova, Palazzo Te e Palazzo S. Sebastiano fino al 10/11, cat. Bompiani
Sala dei Giganti, ivi, a cura di Marco Tonelli, fino al 15/9

Nessun commento:

Posta un commento