sabato 21 settembre 2013

50 sfumature di verde

Mark Rothko, Green, Blue, Green on Blue (1968)  

E il simbolo dell'Islam e degli ecologisti. Ma per gli Egizi significava fertilità e per Mondrian era inutile. La storia del colore più controverso ricostruita in due libri 

Marco Belpoliti

"L'Espresso", 26 settembre 2013

Vi piace il verde? Così ci interpella uno studioso francese di colore, ma anche di araldica, Michel Pastoureau, nella prima pagina del suo "Verde. Storia di un colore" (Ponte alle Grazie). La risposta non può essere certo univoca per un colore così discusso come il verde. Secondo una ricerca recente, m Europa sarebbe il verde il colore preferito da una persona su sei; ma c'è anche chi lo detesta e chi ritiene porti sfortuna. Difficilissimo da indossare, sia da donne sia da uomini. Eppure è il colore più diffuso m natura. Se chiedessimo a un fisico: perché si vede il verde? Ci risponderebbe: perché m un campo, nelle foglie degli alben,nelle "cose " della natura, tutti i colori sono assorbiti, mentre il verde è respinto. Per questo il nostro occhio lo vede. Dice Manlio Brusatin, architetto, saggista, che «il colore è molto più ciò che si pensa che ciò che si vede». Lo scrive in un libro elegante e prezioso, "Verde. Storie di un colore" (Marsilio), pubblicato quest'anno. Entrambi i libri sul verde ci dicono una cosa importante: il colore non è solo una lunghezza d'onda o una sensazione, ma anche un'idea e un pensiero. Meglio: un sistema complesso di percezioni e convinzioni condivise in una cultura. 
La storia del verde lo illustra in modo evidente. Nelle caverne istoriate e dipinte dai primi uomini il verde non c'è; poiché è un colore della vegetazione, lo avrebbero escluso. Ci sono rossi, neri, marroni, ocra; niente verde e niente blu, e poco bianco. Parecchi secoli dopo i Greci mostrano un lessico cromatico molto limitato. Anche se la questione è molto dibattuta - abbiamo infatti ereditato testi scritti, non documenti sonori del parlato quotidiano - ci sono due soli termini fissi e definiti: bianco (leukós) e nero (mêlas); poi il rosso, però m una gamma ampia. Eppure il verde è un colore che gode di grande nomea e valore presso un altro popolo contemporaneo, gli egizi. Figura nella loro pittura, e ha significati positivi: fertilità, fecondità, gioventù, crescita, rigenerazione. Tutta la passione per il verde, per il verde smeraldo, che attraversa anche la cultura medievale, e soprattutto l'esoterismo rinascimentale e moderno, risale ai costruttori delle piramidi, alla figura mitica di Osiride, su cui si sofferma ampiamente Brusatin. Il cristianesimo degli inizi non sembra molto interessato al verde. I Padri della Chiesa ne parlano solo come il colore della vegetazione. Poi accade un evento che ne condizionerà la stima nei secoli seguenti. Un papa, Innocenzo III il più importante del Medioevo, quando è ancora cardinale scrive un trattato sull'uso dei paramenti sacri; vi decide che il verde è un colore medio, fra il rosso, il bianco e il nero: lo si utilizza quando non si usa uno degli altri tre. Tutto rimonta ad Aristotele e alla sua idea di colore mediano; del resto, i filosofi si sono occupati di colore e tenevano nel passato un posto simile a quello che hanno oggi designer e creatori di moda nello stabilire l'importanza dei colori. Naturalmente non c'è solo Sacra Romana Chiesa, e il suo dominio culturale e spirituale. Al Nord ci sono i verdi barbarici, le tuniche dei pirati che assalgono chiese e monasteri. I vichinghi preferiscono il verde, forse m contrasto con il blu delle distese marine e il bianco della neve, che copre quelle terre. Il colore degli ecologisti, Grünen, viene da lì, dal mondo nordico e pagano. Poi c'è il verde dell'Isiam, che oggi garrisce al vento nelle bandiere di vari Stati arabi. Verde è il turbante del Profeta Maometto, anche se le testimonianze sono incerte, visto che vestiva di bianco e amava pure il nero. Brusatin ci spiega che è il verde del Paradiso Terrestre dell'Islam, mentre quello cristiano è celeste. Nei paesi islamici tuttavia lo possono portare solo coloro che sono nati nel periodo del Ramadam, mentre per gli altri è quasi d'obbligo la veste bianca. Dopo aver ricevuto quella collocazione media, in Occidente il verde non si è più mosso di posizione. Anzi, da un certo punto in poi è stato definito pericoloso. Nel momento in cui i colori sono diventati tinture - la tintura era attività lucrosa nell'età medievale e all'inizio della modernità - il verde appare chimicamente instabile, abbinato a tutto ciò che è mutevole, capriccioso, come la giovinezza, la fortuna e il destino. Da quel periodo viene anche l'espressione " essere al verde ", che non riguarda il verde dei dollari, bensì il tronchetto dei ceri nelle celebrazioni liturgiche: quando la candela si consuma si vede il colore della base che lo regge. Colore delle streghe, del veleno, del male, del Diavolo, cade dunque in disgrazia per diversi secoli, anche se i pittori lo usano; l'ottengono mescolando rosso e giallo, e perciò la coppia rosso-verde compare ancora. Ma la sua considerazione - "colore" è quello che riteniamo tale, dice un filosofo - scende di molto. La storia del verde diventa perciò quella di una componente pittorica, di una materia, e non più di un colore che ha una valenza culturale. Non scompare nei vestiti, ma è un'eccezione. Il blu si afferma alla fine del Medievo come il colore principale, racconta Pastoureau in "Blu". L'Illuminismo lo impone. Per Goethe, che fa vestire Werther di una giacca blu e pantaloni gialli - abbinamento diventato di gran moda tra i giovani romantici - il verde sarebbe il colore dei borghesi, dei mercanti, mentre il rosso è per la nobiltà, il nero per il clero e il blu per artigiani e operai, tanto da farci pensare che il profeta dei blue jeans sia proprio lui. Tuttavia nella sua casa di Weimar tinteggia la camera da letto di verde scuro. 
Da quel momento artisti, poeti e scrittori sono i nuovi arbitri del colore. Le teorie percettive, a partire dall'Ottocento, lo collocano vicino al rosso, di cui è il complementare. Si parla di "mescolanza ottica", e Michel-Eugène Chevreul, che dirige la Manifattura dei Gobelins a Parigi, pubblica nel 1839 uno studio che avrà una grande influenza: "De la loi du contraste simultané des couleurs". La chimica e la fisica, la scienza in generale, assumono un ruolo decisivo anche nella vita quotidiana. Il verde perde il suo posto di colore primario. A produrlo è la coppia occhio-cervello; materialmente non esiste più, diventa una specie d'illusione: l'unione con blu e giallo nell'occhio. È l'epoca degli impressionisti: usano il verde, ma per dipingere gli spazi aperti; ai pittori successivi non piace. Mondrian scrive: "Un colore inutile". Continua a essere pericoloso, corrosivo, tossico; non gli riesce neppure a staccarsi dalla definizione di colore frivolo e dal quale è meglio tenersi alla larga. Fino agli anni Cinquanta del Ventesimo secolo è quasi assente negli oggetti, ma anche nelle decorazioni e negli arredi; i designer non lo usano. Solo il kaki, il "verdastro", come lo chiama Brusatin, che unisce marrone, giallo, grigio e verde quale gamma estesa, ha un qualche successo. In Francia diventa invece il colore della burocrazia. E oggi? Torna di moda, in modo alterno, come colore politico. Dal verde nord europeo, irlandese, proviene il verde della Lega; ci sono i Verdi, anche loro adesso in ribasso. Lo acquisisce invece il brand dell'agroalimentare ecologico e della salute, nuovo valore massimo: presente nel packaging, nelle insegne delle farmacia, negli ospedali, dove è il più utilizzato per camici e pareti. A questo punto risale nei sondaggi: al secondo posto dopo il blu in Europa, quale preferito. Una bella foto di Jane Fonda vestita di verde chiude il libro di Pastoureau e indica il cambiamento in corso. Il verde resta sospeso tra positivo e negativo: invidia, avarizia, gelosia, da un lato; e calma, armonia, gioventù, simpatia, naturalezza, amicizia, fiducia, dall'altro. Per quanto l'indicatore si sposti sempre più verso il positivo: è diventato un colore messianico, dice lo studioso francese. Salverà il mondo, scrive. Sarà vero? 

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