domenica 9 giugno 2013

L’ultimo uomo: Albert Camus. Una vita da portiere


Un libro racconta l’adolescenza algerina dello scrittore francese

La famiglia, la scuola la passione per il calcio. E per la letteratura

Gian Luca Favetto

"La Repubblica", 5 giugno 2013 


Meursault è un portiere. L’uomo che Albert Camus schiera in campo nel suo primo romanzo è un portiere come lui, abituato a difendere la linea bianca, pronto a uscire sulle gambe degli avversari e a volare per impedire che un’azione si realizzi. Lo straniero di Camus, l’uomo che sta di fronte all’esistenza, è prima di tutto straniero a se stesso. E poi è lo straniero del calcio. Stranieri del calcio, al di là di nazionalità e cartellini, sono i portieri. Nessuno è più straniero del portiere su un campo di calcio: l’estraneo su cui tutto si fonda, l’ultimo a opporsi e a cadere, il numero uno sulle cui spalle si reggono coloro che inseguono la palla; lui, invece, la blocca fra le mani e la porta al petto. Meursault non avrebbe potuto essere altro.
La sua partita comincia con un telegramma: «Madre deceduta. Funerali domani. Distinti saluti». Un telegramma che è come un cartellino. Giallo. Come un’ammonizione. La riceve all’inizio, al secondo minuto, alla seconda riga. Alla fine del primo tempo, la fine della prima parte del romanzo, come un portiere si piazza di fronte all’arabo con il coltello. Sono distanti una decina di metri. È come se quello battesse un calcio di rigore. Si trovano sulla spiaggia, che è il campo di calcio dell’infanzia. Poco prima, c’erano anche Raymond e Masson. Controllavano due altri attaccanti avversari, come due difensori: tu occupati del tuo uomo, io mi incarico del mio. Breve confronto, e sono sistemati: ciascuno esce dalla mischia con le proprie ferite. Adesso Meursault aspetta
il calcio di rigore. Si prepara, si concentra. Fa un passo avanti. L’arabo estrae il coltello. La luce balena sull’acciaio, è come se una lama scintillante colpisse Meursault in fronte. Ha una pistola, il sudore cola negli occhi: spara.
Quattro colpi. L’arabo è morto. Così finisce il primo tempo, con il portiere che tira giù la saracinesca e non fa passare nessuno, nessun uomo, nessun pallone. I secondi quarantacinque minuti più recupero saranno tutti occupati dal processo. E qui entra in campo Albert Camus in persona a ricoprire il ruolo. Sa giocare, lui è portiere. E da portiere scrive. Come un portiere guarda, segue l’azione, infine scatta. È nello sguardo l’inizio del portiere. Così come nello sguardo è l’inizio della scrittura.
C’è un libro che testimonia e racconta bene quello che ho appena riassunto. Ha concimato e innaffiato queste idee, questa visione. Si intitola Il portiere e lo straniero (L’Asino d’oro, pagg. 142). Lo ha scritto Emanuele Santi, uno che ha passione per il calcio e la letteratura e sa trovare dove si nascondono le storie. È un lungo racconto con pagine folgoranti. Può arricchire chi ama Camus e il gioco del calcio, lo scrivere e la letteratura, i viaggi e le scoperte. E poi solleva il velo su un ruolo, quello del portiere, che è uno stato d’animo, una condizione umana: continua nella vita dopo che hai lasciato il campo. A suo modo, anche questo libro è una partita. C’è da divertirsi a leggerla e a giocarla con l’autore e i personaggi che fanno la storia. La storia è quella di Camus che nasce in Algeria, a Mondovì – oggi si chiama Dréan –, in una modesta famiglia di pieds-noirs, orfano di padre, trasferito nella capitale, cresciuto dalla severa nonna materna nel popolare quartiere di Belcourt. Il racconto va. C’è Algeri con le sue strade, le sue case e il mare. Ci sono la famiglia e la scuola, i compagni di giochi. Ci sono il maestro Louis Germain e il professore Jean Grenier, mentore e amico. Ci sono i campi di calcio, i tornei, i campionati in Algeria. Ci sono Pierre Chayriguès, Ricardo Zamora, Maurice Cottenet, i portieri che il giovane Camus ammira. C’è il Racing Universitaire d’Alger, il Rua, la squadra dove gioca nelle giovanili fino a 17 anni, la squadra per cui tiferà. C’è la tubercolosi. C’è la sua vita e la sua carriera di scrittore nato portiere. E c’è il gran finale, l’ultimo capitolo, dove in campo arriva Meursault ed Emanuele Santi non sbaglia tattica, né strategia, né una frase, né un’azione. In un’intervista del 1959, l’anno prima di morire, Camus ricorda: «Il poco di morale che conosco l’ho appresa sui campi di calcio e sul palcoscenico dei teatri, che rimangono le mie vere università ». Le università di un uomo in rivolta contro l’assurdo della vita. Nel dicembre del 1957, a Stoccolma, leggendo il discorso per il Premio Nobel, dice: «Ogni generazione si crede destinata a rifare il mondo. La mia sa che non lo rifarà. Il suo compito è forse più grande: consiste nell’impedire che il mondo si distrugga». E questo è un compito da portiere, uno che può «alimentare la sua arte e questo suo essere diverso solo confessando la propria somiglianza con tutti». Il portiere è la rivolta, è l’uomo in rivolta, l’uomo che dice no e si oppone alla storia. La storia vorrebbe sempre finire in gol, andare a segno. In genere, tutti tifano per la storia. Il portiere è solo, è quello che ballonzola laggiù in mezzo ai pali, fra l’erba e la traversa, a difesa di un vuoto. Si piega sulle gambe, cerca la migliore elasticità, prova la maggiore reattività e aspetta. Guarda, osserva l’azione e fantastica. Ha pazienza. Deve avere moltissima pazienza, e occhio, e misura. Deve avere ritmo interiore e scegliere il tempo giusto. All’ultimo, esce o scatta in tuffo. Il suo scatto si conclude con un volo e una caduta a terra. Sempre. Che la sua azione abbia successo o no, lui finisce comunque a terra.
Poi, si rialza. E ricomincia l’azione.
Albert si è appena tuffato sul cemento. L’ha deviata, questa volta, la palla. Si è sbucciato un ginocchio. Sanguina, è normale. Giocano nel cortile a scuola. È il dicembre del 1931. Su in classe, gli allievi del penultimo anno discutono chi sia il migliore studente di filosofia del liceo. Non la smettono. Chiedono al professore. Il professore non vuole rispondere. I ragazzi insistono. Alla fine Jean Grenier cede e li manda alla finestra. Lui rimane seduto alla cattedra. «Il migliore di tutti è lì nel cortile – dice – Vedete quello che gioca in porta? Si chiama Albert Camus». Da poco ha compiuto diciotto anni.

Il portiere e lo straniero di Emanuele Santi (L’asino d’oro pagg. 138 euro 12)

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