domenica 9 giugno 2013

La questione tedesca è chiusa. Quasi


A colloquio con Angelo Bolaffi, che illustra l'emancipazione della Germania:
 la caduta del Muro come spartiacque, l'occidentalizzazione, 
Auschwitz come mito fondante

Paolo Valentino

"Corriere - La Lettura", 9 giugno 2013

«Quando Thomas Mann formulò la famosa drammatica alternativa tra una Germania europea e un'Europa tedesca, aveva memoria delle tragedie della Storia... Oggi è possibile ipotizzare che l'Europa si germanizza proprio e nella misura in cui la Germania si è completamente e convintamente europeizzata. Liquidare la questione tedesca significa infatti costruire finalmente l'Europa. E la Germania ha la forza, l'interesse e soprattutto la necessità storica e morale di farlo». Si chiude così il libro che Angelo Bolaffi, filosofo della politica e tra i pochi germanisti italiani di fascia alta, pubblica per Donzelli. Cuore tedesco è un viaggio colto, avvincente e rigoroso dentro un triangolo in pieno corto circuito — il modello Germania, l'Italia e la crisi europea — che non nasconde l'ambizione di colmare una lacuna più che evidente, oggi, nel nostro Paese: non si tratta tanto di amare la Germania, spiega l'autore a «la Lettura», quanto «di capirla e conoscerla, forse cominciando a vedere se è possibile pensare alla Storia d'Europa dal e non contro il punto di vista tedesco».
L'evento intorno al quale ruota la narrazione del libro è la caduta del Muro di Berlino, «spartiacque spirituale, equivalente geopolitico della presa della Bastiglia, rappresentazione simbolica e fisica del crollo di tutti i presupposti storici e strategici dell'integrazione europea». Piaccia o no, l'Europa aveva un padre e una madre: il problema tedesco e la minaccia sovietica. Sparito il Muro, venne meno la sua placenta.
Bolaffi ricostruisce il panico di cui furono preda i leader politici europei: Thatcher, Mitterrand, Andreotti, ognuno a suo modo, cercarono di ostacolare l'ipotesi dell'unità tedesca. «Fu uno scherzo della Storia, imprevisto e non voluto. C'erano due strade: costruire l'Europa politica, come proponevano i tedeschi. Oppure, quella indicata in un secondo tempo da Mitterrand, che riprese il Piano Delors e indicò la prospettiva della moneta unica: l'idea era di togliere alla Germania la sua particolare bomba atomica, il marco. Kohl, nonostante il parere contrario di tutti gli economisti, disse che non si poteva tradire il mandato europeista e dette il suo accordo. Funzionò all'inizio. Ci si illuse che l'euro fosse da solo la garanzia della stabilità tedesca portata a tutta l'Europa. Ma senza sovrano, senza pagatore di ultima istanza e senza unione politica, non poteva funzionare nel lungo periodo. Oggi, quando la cancelliera Merkel dice che bisogna correggere gli errori iniziali dell'euro, dice una cosa vera».
Il che non assolve del tutto la classe politica berlinese. «La tesi del libro è che il modello socio-economico tedesco non è solo quello socialmente più inclusivo ed equo, ma anche quello più efficace dal punto di vista produttivo. E per questo ha vinto, mettendo la Germania in una condizione egemonica. Ma a questa condizione oggettiva non ha corrisposto una cultura di governo dell'egemonia da parte delle élite tedesche. Soprattutto negli ultimi anni, sono state riluttanti: in effetti non hanno deciso di assumersi in pieno le responsabilità imposte dalla Storia, dalla collocazione geopolitica e dall'economia. Detto questo, la cancelliera Merkel è stata l'unico leader europeo a visitare tutti i 27 Paesi dell'Unione, pur sapendo che in alcune capitali sarebbe stata accolta malissimo. È la dimostrazione che si rende conto della responsabilità egemonica della Germania. E parlo di egemonia in senso gramsciano, quindi benevola, gentile, che organizza il consenso e non impone agli altri la propria volontà».
Bolaffi individua una delle cause della crisi attuale nell'abbandono della Germania da parte dell'Italia. È un'analisi intrigante, che indica il nostro Paese, insieme all'Urss, come uno dei due perdenti della Guerra Fredda. Nel 1989, Italia, Francia, Germania e Gran Bretagna erano grosso modo sullo stesso livello dal punto di vista della potenza politico-economica. Caduto il Muro l'equilibrio strategico si è allontanato dal Reno, spostandosi verso l'Elba, isolando Francia e Italia. La Germania, anche sul piano demografico, è diventata il Paese decisivo. Francia e Gran Bretagna hanno compensato in qualche modo con l'antico status di potenze vincitrici, il seggio al Consiglio di Sicurezza e l'arma nucleare. Mentre l'Italia si è ritrovata su una faglia geopolitica in pieno movimento sussultorio.
Avremmo potuto gestire diversamente quella fase? «Sì, se avessimo capito ed elaborato cosa significava. Ricordo che firmammo Maastricht, un accordo che vincolava le generazioni future, senza un dibattito parlamentare, invano invocato dal solo Marco Pannella. Guido Carli commentò "non sanno cos'hanno fatto". In quel momento rinunciammo ai pilastri del sistema italiano, governi deboli e moneta debole. Il modello vincente fu quello tedesco, governi stabili e moneta stabile. Ci abbiamo provato dieci anni dopo, col governo Prodi-Ciampi, facendo uno sforzo sovrumano per entrare subito nell'euro. Qualcuno fece cadere Prodi e lì abbiamo perso non solo la Guerra Fredda, ma anche la battaglia con noi stessi. Poi venne il decennio berlusconiano, che non solo ha snaturato la tradizione italiana dell'europeismo, ma ha sprecato un tempo prezioso nel quale, grazie all'euro, prima che scoppiasse la crisi dei mutui in America e il contagio si estendesse all'Europa, avevamo avuto gratis uno spread ai minimi storici. In quegli anni, mentre la Germania si ristrutturava grazie all'Agenda 2010, l'Italia dilapidò quel tesoretto per una politica di sperpero pubblico».
Bolaffi pensa tuttavia che siamo ancora in tempo per aprire una nuova pagina. Non crede, al contrario del ministro degli Esteri, Emma Bonino, che proprio la drammaticità della situazione rilanci l'ipotesi del federalismo. Obietta che «i popoli, non i governi hanno già detto di no alla Costituzione europea, il più generoso tentativo di darsi una struttura federale». E critica l'idea che «l'unica istanza democratica sia il Parlamento europeo isolato da quelli nazionali». Sostiene invece che «bisogna costruire una legittimità nuova, fondata su quest'ultimi». Gli Stati Uniti d'Europa, a differenza di quanto succede in America ed è scritto sul dollaro, ex pluribus unum, dovranno rimanere ex pluribus plures, salvaguardando la loro incomparabile ricchezza di culture e di linguaggi».
Tornando a Thomas Mann e alla dicotomia di cui il libro celebra il superamento, perché questa Germania è diversa? «Perché è post tedesca. Peter Sloterdijk parla di metanoia, di auto-ravvedimento della Germania. C'è stata una occidentalizzazione politica, iniziata da Adenauer. Poi c'è stata l'occidentalizzazione dello spirito tedesco, avvenuta attraverso la riscoperta della colpa tedesca della Shoah, i conti col passato innescati dalla generazione del Sessantotto. Auschwitz è diventato il mito fondante della Repubblica Federale. Sulla base di questo ravvedimento, che è stato spirituale, politico, storico, oggi la Germania è un Paese più europeo degli altri».

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