domenica 9 giugno 2013

Dentro il puzzle di Epicuro c'è la Natura

Armando Torno

"Corriere - La Lettura",  9 giugno 2013

Proviamo a leggere questa frase: «Non si generò, dunque, un solo cosmo soltanto, neppure...». Il testo del papiro si tronca. Le parole sono di Epicuro, il maestro del Giardino, uno dei grandi filosofi greci vissuto tre secoli prima di Cristo. Il passo riportato sarebbe piaciuto ad altri pensatori, più o meno a lui vicini. Anassagora, per esempio, che era morto oltre un centinaio di anni prima, riteneva la Luna abitata; non avrebbe però trovato d'accordo Platone e Aristotele, che credevano nell'unicità della Terra. Sarà il latino Lucrezio, due secoli più tardi, nel De rerum natura, a parlare di nuovo dell'esistenza di «altri mondi in altre parti dell'Universo, con tipi differenti di uomini e animali». Queste possibili altre Terre non troveranno requie; del resto il dibattito su eventuali abitanti, rintracciabili oltre il nostro pianeta, continua. Giordano Bruno credeva in un universo infinito e Bernard de Fontenelle in un'opera fascinosa del tardo Seicento, Conversazioni sulla pluralità dei mondi, asseriva la presenza di altre civiltà su Mercurio o Venere. Torniamo al papiro. Il frammento di Epicuro ricordato è tratto dal II libro Sulla natura, l'opera capitale del maestro, citata da Diogene Laerzio al primo posto tra le migliori. Doveva essere in 37 libri. Ci è giunta solo parzialmente. Nella Biblioteca ercolanese della Villa dei Papiri ci sarebbero stati almeno due esemplari di questo II libro. Quasi sicuramente vi erano in essa testi integrali o parziali di tutta l'opera. E ora Giuliana Leone, dopo un lavoro immenso, costatole «pezzi di vita», ha pubblicato di Epicuro Sulla natura.
Libro II
. È un'edizione critica ben più ampia e continua delle precedenti, basata sui due testimoni — attualmente smembrati in diverse parti — presenti nella celebre biblioteca di Ercolano. C'è anche una proposta multimediale. È una nuova e più completa ipotesi di ricostruzione. Né in essa mancano conferme rispetto ad altri libri dell'opera. Nella chiusa del II libro, seguendo uno schema che non tutti i critici accettano (il lavoro di Leone ricorda altre ipotesi e offre materiale per tentarne ulteriori), Epicuro afferma di aver dato dimostrazione dell'esistenza di eidola, della velocità della loro generazione, che è uguale a quella del pensiero; del loro movimento di traslazione nello spazio che avviene con insuperabile velocità. Già, eidola. Il termine verrà tradotto dai latini con idola, simulacra; noi potremmo renderlo con idoli o meglio immagini. La loro dottrina, esposta nell'antichità da Democrito, sosteneva che la sensazione e il pensiero nascono appunto da immagini corporee provenienti dall'esterno. La scuola di Epicuro la fece propria. Se ne occuperà ancora Francis Bacon tra il XVI e il XVII secolo per denunciare gli ostacoli che esse (o essi) pongono alla conoscenza. Ma questa è un'altra storia. Per ora osserviamo che il libro di Bibliopolis aiuta a meglio comprendere il filosofo greco. Integra e richiama il lavoro fondamentale che Graziano Arrighetti lasciò nella raccolta, edita nella compianta collana gialla di Einaudi nel 1973, delle Opere di Epicuro.

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