sabato 25 maggio 2013

Michelangelo e le donne

Quelle Sibille così maschili a immagine di Dio

Nuovi studi analizzano l’iconografia della Sistina alla luce dell’influenza di Agostino e della riforma

Carlo Alberto Bucci

"La Repubblica",  25 maggio 2013

Le parti femminili nel teatro furono per molti secoli interpretate esclusivamente da attori maschi. Le donne non erano giudicate all’altezza di quel podio. Ma nella scena pittorica della Genesi, liberamente e magistralmente ribaltata sulla volta della Sistina cancellando nel 1508 il vecchio cielo stellato, che necessità aveva Michelangelo di dare alle Sibille e alle altre eroine dell’Antico Testamento il corpo muscoloso di un “palestrato”? Le ragioni della mascolinità del femminino michelangiolesco, addirittura esibita nella cappella dei conclavi in Vaticano, non sfuggono all’immagine caricaturale di un mondo tutto virile quasi fosse imposto a Buonarroti dalla propria omosessualità. Come se l’immenso artista toscano non fosse stato in grado di contemplare e rappresentare anche una bellezza altra da sé e dall’amato Tommaso Cavalieri. Di fronte all’evidente, conturbante machismo della sibilla Cumana, e che si riscontra anche già nelle straordinarie braccia virili (per la prima volta nude) della Madonna nel Tondo Doni, si è parlato di «marchio della cultura patriarcale del Rinascimento» (Yael Even); di «passione fisica (omoerotica) per il corpo maschile» (Howard Hibbard); di «misoginia» (Gill Sauders).
C’è però anche un motivo più profondo per cui la splendida sibilla Libica o la possente, anziana Persica, ma anche Caterina e le altre sante presenti nel Giudizio Universale affrescato dal 1536 sulla parete d’altare della Sistina, hanno il corpo muscoloso dei ragazzi spogliati e presi a modello da Michelangelo nella sua bottega. E si spiega col pensiero di sant’Agostino, attraverso uno dei suoi massimi esegeti del tempo, Egidio da Viterbo: teologo e predicatore caro alla corte di papa Giulio II ma anche interprete nel pensiero neoplatonico al quale si era abbeverato Michelangelo negli anni della formazione fiorentina. «La chiave di volta nell’interpretazione della Sistina è l’imago Dei nell’interpretazione del vescovo di Ippona», dice Costanza Barbieri, che lunedì, alla giornata di studi organizzata dall’Università Europea di Roma, per i 500 anni (1512-2012) della Sistina, terrà un intervento dal titolo Un uomo in una donna, anzi uno dio per la sua bocca parla: sant’Agostino e le donne mascoline di Michelangelo.
La prima parte del titolo è tratta da una poesia scritta dal Buonarroti per una donna, quella Vittoria Colonna che il maestro frequentò a partire dalla seconda metà degli anni Trenta. «In questo sonetto — spiega Barbieri — l’artista rivolge all’amica poetessa un complimento inaspettato. La paragona a un uomo. Di più: a “uno dio” che “per sua bocca parla”, quasi una sibilla. E stare a sentirla è fonte per Michelangelo di una illuminazione così intensa che il maestro si dichiara conquistato: “ond’io per ascoltarla/ son fatto tal, che ma’ più sarò mio».
Questa visione “maschia” delle donne non è una prerogativa di Buonarroti. «No, è un topos letterario. Molti umanisti esaltano la donna colta e letterata trasfor-mandone l’identità sessuale. Ad esempio, Lauro Querini si rivolge con queste parole all’umanista veronese Isotta Nogarola: “Tu sei vittoriosa sulla tua stessa natura perché con singolare zelo e impegno hai ricercato la vera virtù, che è essenzialmente maschile”».
Come le Vergini affettuose di Raffaello, le Madonne materne di Leonardo, per non parlare delle carnosissime Veneri di Tiziano, anche Michelangelo aveva in gioventù — certo, a suo modo — reso femmine le donne. «Infatti, la mascolinizzazione non avviene sistematicamente — interviene Barbieri — e, prima della Sistina, abbiamo figure femminili assolutamente graziose quali la Vergine della Pietà di San Pietro, la Madonna con il Bambino di Bruges o la stessa Eva della Sistina. Ma nella Volta avviene una metamorfosi», precisa la studiosa di iconologia, autrice nel 2004 di un’importante mostra e di un saggio sulla Pietà di Viterbo dipinta, fra il 1512 e il 1516, da Sebastiano del Piombo con l’aiuto di Michelangelo, e su commissione dell’agostiniano Giovanni Botonti. La città dei Papi è anche il luogo dove dal 1541 Vittoria Colonna visse per tre anni dando vita, con il cardinale inglese Reginald Pole e il protonotario apostolico Pietro Carnesecchi, a quel cenacolo che fu protagonista di un progetto di rinnovamento interno alla Chiesa e che venne tuttavia accusato d’eresia per la contiguità con tesi della la riforma protestante. Ma torniamo agli anni della Sistina, al 1508 quando papa Giulio II Della Rovere distolse a forza Michelangelo dall’incarico di scolpirgli la tomba per impegnarlo per quattro anni ad affrescare la Volta, e quando Martin Lutero non aveva ancora affisso a Wittemberg le sue clamorose 95 tesi. «Anche Lutero era un agostiniano, e l’agostinianesimo informa le istanze rinnovatrici, e non eretiche, del circolo di Viterbo. Però certo — precisa Barbieri — sant’Agostino è presente nella Sistina, attraverso Michelangelo, in un’altra veste. Secondo Esther Gordon Dotson e Maurizio Calvesi, agostiniana è l’impalcatura teologica che sottende alla Sistina e, possiamo aggiungere, anche la ragione profonda dei mascolinizzati corpi femminili, in una visione che contempla anche la bellezza secondo il pensiero dei platonici».
Al centro di tutto c’è il Dio che ha creato Adamo “a sua immagine e somiglianza” e, attraverso suo Figlio, si è incarnato in un uomo.
«Per san Paolo esiste una sostanziale incompatibilità tra la divinità e la femminilità» spiega Barbieri. Tale da precludere alle donne la resurrezione poiché, secondo l’apostolo, i risorti “saranno conformi all’immagine del Figlio di Dio”, ossia a un maschio. «Sant’Agostino però è convinto che le donne nel giorno del Giudizio risorgeranno conservando la loro identità di genere. Questo elemento cruciale è stato affrontato da Kari Elisabeth Borresen, la prima teologa cattolica a coniugare i gender studies con l’esegesi. Il vescovo d’Ippona risolve il dilemma di san Paolo teorizzando che, mentre l’uomo riflette il suo creatore anima e corpo, la donna è duplice e, mentre rispecchia l’imago dei nell’anima razionale, se ne discosta nel corpo. Come è possibile che le donne — si interroga il dottore della Chiesa — perdano il loro sesso una volta risorte? No, non lo perderanno, ma si conformeranno a una nuova immagine. Per visualizzare questa nuova immagine di una donna più vicina all’immagine di Dio, Michelangelo escogita un corpo femminile mascolinizzato in quanto spiritualizzato, più conforme al Figlio, che aumenta in virilità con l’età e con la saggezza». Ed è la predicazione di Egidio da Viterbo «ad affrontare all’inizio del ’500 i temi della dignità dell’uomo, della bellezza e armonia del corpo maschile, specchio del suo creatore, in sermoni di fronte alla corte papale». Alla luce dell’agostinianesimo e del neoplatonismo di Marsilio Ficino sintetizzati dal predicatore agostiniano, Michelangelo trova la giustificazione teologica alla sua visione della centralità della perfetta immagine del maschile, rispecchiamento di quella divina. «E le sue figure femminili — chiosa la studiosa romana — sono infatti tanto più mascolinizzate quanto più si avvicinano spiritualmente a Dio».

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