sabato 18 maggio 2013

Innamorato o Furioso, Orlando è qui accanto


Dal Boiardo ai Beatles, il classico non finisce mai di parlarci 

Carlo Ossola


"La Stampa", 17 maggio 2013 

II classico, ha scritto Italo Calvino, «è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire»; di quando è, dunque, Dante? Di oggi e, molto più, di domani: di quel domani che è speranza, possibilità, redenzione, testo volto al futuro: «sustanza di cose sperate / e argomento de le non parventi» (Paradiso, XXIV, 6465). Nulla è più proprio all'incremento d'avvenire che la poesia: essa si dispiega - come definì Mandel'stam il percorso del poema dantesco - in futurum
La storia raccoglie in narrazione la scarsa traccia (leggi e cronache, testamenti e diari, archivi e registri) che ci è rimasta di eventi irrevocabili: non abbiamo visto e non vedremo Orlando e i paladini, Napoleone e le sue battaglie; ma sempre è presente, qui accanto, Innamorato o Furioso, il paladino del Boiardo e dell'Ariosto, ancora ci accompagna - «dall'Alpi alle Piramidi» - il condottiero del Manzoni (Il cinque maggio). La lettura dei classici ha bisogno di poco corollario di eventi: è, essa stessa, storia, quando il documento più non esiste, scomparsi i corpi, obliati i misfatti, cancellate le vite; avremmo ancora memoria, vergogna, lutto di Auschwitz e dei Lager di sterminio, se non ci fosse qui la parola, viva e dolente, di Primo Levi: «Voi che vivete sicuri / Nelle vostre tiepide case, / Voi che trovate tornando a sera / II cibo caldo e visi amici: // Considerate se questo è un uomo / [...] / Che lotta per un mezzo pane / Che muore per un sì o per un no. / Considerate se questa è una donna, / Senza capelli e senza nome»?
La storia umana è un grande fiume di oblio: a che varrebbe conservare gli scontrini di acquisto dei tanti calzini usati, i biglietti dei tram, gli inserti dei quotidiani, già dimenticati la settimana dopo?
 Che cos'è la storia se non una narrazione «sopra» questi immensi detriti, dettagli, in cui si sono spesi opere e giorni? Che rimane dei singoli segni del progresso: dove la prima ruota, il primo carattere di piombo che con l'invenzione della stampa fece avanzare conoscenza e uguaglianza, ove la prima spoletta meccanica per i moderni telai, la prima mongolfiera? Nulla ci rimane di quei mitici oggetti: ma qui, eccola vivace e autentica, l'Ode al signor di Montgolfier, il «volator naviglio» di Vincenzo Monti. E come parlare ai figli degli idoli musicali, delle serate in discoteca, se in vent'anni sono spariti prima i dischi, poi le cassette, e tra poco i ed? Fortunata quella generazione che avrà letto Vittorio Sereni e quando nulla tornerà più di quelle musiche - potrà ancora leggere Giovanna e i Beatles: «Nel mutismo domestico nella quiete / pensando si inascoltata e sola / rida fiato a quei redivivi. / Lungo una striscia di polvere lasciando / dietro sé schegge di suono / tra pareti i beneamati Scarafaggi». 
La letteratura non è spiegata dalla storia, al contrario la raccoglie, la rappresenta, la restituisce all'universo: «Chiamasi classico un libro che si configura come equivalente dell'universo» (I. Calvino, Perché leggere i classici). La scuola, i libri, non debbono, non possono, tradire questo universo, che ci fa tutti uomini, e uguali, tutti in viaggio, senza sosta, senza frontiera: «Va / lui, dimentico della sua andatura, / perduto nelle sue creature» (M. Luzi, Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini). La letteratura è l'universale e insieme l'unico, l'insostituibile: non ha pezzi di ricambio un verso di eternità d'istante» (E. Montale, La bufera). Il testo poetico consegna mondi possibili e restituisce a se stessi, nel ricordo d'una sera, d'un po' di fuoco, d'un silenzio: « Lasciatemi così / come una / cosa / posata [...] / Sto / con le quattro / capriole / di fumo / del focolare».

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