mercoledì 1 maggio 2013

Elogio del libro. I libri hanno bisogno di noi


Così i libri si specchiano in noi


Anticipazioni Il rapporto “intimo” di autentica “devozione” 

tra un testo letterario e il suo pubblico nel nuovo saggio di George Steiner

George Steiner

"La Repubblica",  1 maggio 2013

I più grandi lettori di Sofocle e di Shakespeare sono gli attori e gli sceneggiatori che animano le parole. Imparare una poesia a memoria è come incontrarlo a metà strada nel viaggio ogni volta sorprendente della sua venuta al mondo. In una “lettura ben fatta” (Péguy), il lettore lo rende qualcosa di paradossale: un’eco che riflette il testo e contemporaneamente entra in sintonia con esso attraverso le percezioni, i bisogni e le sfide che lo caratterizzano. I nostri momenti d’intimità insieme con un libro, dunque, sono a tutti gli effetti dialettici e reciproci: leggiamo il libro, ma, più profondamente forse, è il libro a leggere noi.
Ma perché l’arbitrio, la natura sempre discutibile di questi momenti d’intimità? I testi che ci trasformano possono essere, sul piano sia formale sia storico, delle banalità. Come un ritornello alla moda, il romanzo poliziesco, la notizia trascurabile, l’effimero può presentarsi d’improvviso alla nostra coscienza e penetrare nella profondità di noi stessi. Il canone dell’essenziale varia a seconda dell’individuo, della cultura, ma anche della fase della vita. Vi sono libri considerati capolavori durante l’adolescenza e che in seguito diventano illeggibili, o altri improvvisamente riscoperti sulla scena letteraria o nella vita privata.
La chimica del gusto, dell’ossessione, del rifiuto è strana e indecifrabile quasi come quella della creazione estetica. Individui molto simili tra loro per le origini, la sensibilità o l’ideologia in comune possono adorare il libro da tutti detestato, considerare kitsch ciò che altri considerano un capolavoro. Coleridge parlava di hooked atoms della coscienza che s’intrecciano nelle forme più imprevedibili; Goethe parlava delle “affinità elettive” — ma sono soltanto immagini.
Le complicità tra l’autore e il lettore, tra il libro e la lettura, sono imprevedibili, volubili, hanno radici misteriose come quelle dell’eros. O, forse, dell’odio; esistono infatti testi indimenticabili che ci trasformano e che arriviamo al punto di odiare: a teatro non sopporto, e tantomeno posso insegnare, l’Otello di Shakespeare, la versione di Verdi invece mi sembra, sotto diversi punti di vista, la più coerente, quasi un miracolo dell’uomo.
Il paradosso dell’eco vivificante tra libro e lettore, dello scambio vitale improntato alla reciproca fiducia, è legato a particolari condizioni storiche e sociali. “L’atto classico della lettura”, secondo la definizione che ho cercato di fornire nel mio lavoro, richiede silenzio, intimità, cultura letteraria (literacy) e concentrazione. In mancanza di tali elementi, una lettura seria, una risposta ai libri che sia anche responsabilità è inconcepibile.
Leggere, nel vero senso del termine, una pagina di Kant, una poesia di Leopardi, un capitolo di Proust, significa avere accesso a momenti di silenzio, alla salvaguardia dell’intimità, a un certo livello di formazione linguistica e storica pregressa. E poi avere a portata di mano strumenti che aiutino nella comprensione quali dizionari, grammatiche e opere d’importanza storica e critica. Dall’epoca dell’Accademia ateniese fino a metà del XX secolo, molto schematicamente, una condizione simile coincideva con la definizione di cultura. In misura maggiore o minore, essa costituì sempre il privilegio, il piacere e l’obbligo di un’élite. Dalla biblioteca di Alessandria alla cella di san Girolamo, dalla torre di Montaigne all’ufficio di Karl Marx presso il British Museum, le arti della concentrazione — che Malebranche definiva come la «devozione naturale dell’animo» — hanno sempre avuto un ruolo centrale nella vita del libro.
È sotto gli occhi di tutti che ai giorni nostri queste arti hanno ridotto il proprio campo d’azione, diventando un “mestiere” universitario sempre più di competenza degli specialisti. Tra gli adolescenti americani una percentuale superiore all’ottanta per cento non è capace di leggere in silenzio; nel sottofondo vi è sempre musica più o meno amplificata. L’intimità, la solitudine che rende possibile un incontro approfondito tra il testo e la sua ricezione, tra la lettera e lo spirito, oggi è una singolarità eccentrica, psicologicamente e socialmente sospetta.
Inutile soffermarsi sul declino del nostro insegnamento secondario, sul disprezzo che esso nutre verso l’apprendimento classico, verso lo studio mnemonico. Ormai nelle nostre scuole è ampiamente diffusa una forma di amnesia pianificata.
Contemporaneamente, il formato del libro in sé, la struttura del copyright, dell’edizione tradizionale, della distribuzione in libreria, come sapete meglio di me, sono in pieno mutamento, per non dire che si stanno rivoluzionando. Già oggi gli autori possono raggiungere i propri lettori direttamente su Internet, chiedendo loro d’instaurare un canale di comunicazione diretto (così è stato “pubblicato” l’ultimo John Updike). Sono sempre più numerosi i libri che si leggono online, sullo schermo di un computer, o che si acquistano via web. Ottanta milioni di volumi della Biblioteca del Congresso, a Washington, sono disponibili (soltanto) in forma elettronica.
Nessuno, per quanto bene informato, può prevedere che cosa ne sarà del concetto stesso di autore, di testualità, di lettura personale. Non vi è alcun dubbio che si tratti di evoluzioni veramente elettrizzanti, che implicano liberalizzazioni economiche e opportunità sociali di grande rilievo. Ma sono contemporaneamente la causa scatenante di gravi perdite. Sempre più, libri scritti, stampati, pubblicati e acquistati “alla vecchia maniera” apparterranno alle “belle lettere”, a quello che i tedeschi definiscono, pericolosamente, Unterhaltungsliteratur, “letteratura d’intrattenimento”. Sempre più la scienza, l’informazione e il sapere in tutte le sue declinazioni saranno trasmessi e memorizzati online ricorrendo a strumenti elettronici. Segnali di crisi già presenti nella nostra cultura e nelle nostre lettere (literacies) non potranno che accentuarsi. Più che mai abbiamo bisogno dei libri, ma anche i libri hanno bisogno di noi. Quale privilegio più grande se non quello di essere al loro servizio?

Traduzione Emanuele Lana © 2013, Garzanti Libri spa, Milano © Édicions de l’Herne, 2003 Published by arrangement with Agence litteraire Pierre Astier & Associés
I libri hanno bisogno di noi di (Garzanti) pagg. 85

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