venerdì 29 marzo 2013

L'arte perduta di illuminarci attraverso i libri


Lina Bolzoni, grande studiosa del Rinascimento, 
racconta l’attualità della mnemotecnica
Da Giordano Bruno che interrogava l’Ariosto come se fosse l’I Ching 
a Petrarca che usava la "mente vuota"
"Le stanze della memoria dilatavano le capacità della mente: 
sarebbero utili per gestire la quantità sterminata di dati di oggi"

Benedetta Craveri

"La Repubblica",  28 marzo 2013

In un giorno imprecisato tra il 1565 e il 1566, mentre è novizio dei domenicani a Napoli, Giordano Bruno si trova a giocare con alcuni amici al gioco delle "sorti", che consiste nello scegliere a caso dei versi e associarli, sempre a caso, al nome di uno dei partecipanti. Il libro scelto è l´Orlando furioso e il verso toccato in sorte a Bruno è quello riferito a Rodomonte, «d'ogni legge nimico e d´ogni fede». Il grande pensatore eretico vi vedrà la prefigurazione del proprio destino e, da quel momento in avanti, non cesserà di interrogare il poema dell'Ariosto fino al rogo di Campo de´ Fiori che, il primo gennaio del 1600, concluderà la sua drammatica esistenza. Giordano Bruno che legge l´Ariosto è uno dei saggi che figurano ne
Il lettore creativo. Percorsi cinquecenteschi fra memoria, gioco, scrittura di Lina Bolzoni (Guida Editore, pagg. 379) e che illustra in modo esemplare il complesso e affascinante intreccio tra scrittura e arti figurative, fra pensiero e memoria, fra imitazione e invenzione, fra esoterismo e gioco di cui la studiosa è maestra. E l´immagine del Rinascimento che ne emerge è di sorprendente attualità. Ma che cosa intende l´autrice con "lettore creativo"?
«Il "lettore creativo" indica, ben prima dell´ermeneutica, la consapevolezza antica che un´opera vive anche attraverso i suoi lettori, in un dialogo che può avere anche risultati inaspettati. Cambia nel tempo quello che un´opera ci dice, e per certi aspetti cambia l´opera stessa gli occhi del suo autore: lo diceva Tasso quando, sollecitato dai censori, rileggeva la Gerusalemme Liberata».
Anche Petrarca, come lei sottolinea, è esplicito nel chiedere ai suoi lettori di rivivere in piena consapevolezza il suo processo creativo. Ma come?
«Petrarca chiede al suo lettore un´etica basata sul rispetto del testo e sul vuoto mentale (non devi pensare alla notte passata con l´amante, ai problemi di soldi). Dopo di che il testo può influire sulla mente di chi lo legge (o di chi lo ascolta) con la forza della sua qualità, creare un vincolo magico, come diceva Giordano Bruno. È interessante che anche nel Rinascimento ci sia una corrente che punta più sulla struttura del testo che sulla sua capacità di dialogo. Giulio Camillo, il famoso autore del teatro della memoria, costruiva delle macchine retoriche che dovevano strappare ai testi classici i segreti della loro bellezza».
Un tema ricorrente in questi suoi saggi è la forza magica del testo, com´è il caso di Bruno che interroga l´Orlando furioso come si potrebbe fare con gli I Ching.
«È affascinante pensare che in un convento domenicano si interrogasse l´Ariosto, non la Bibbia. È un uso per noi straniante, ma di grande fascino del testo poetico, che così penetra nella vita individuale, delinea un destino. Lo si fa tuttora in Iran, con la grande poesia d´amore».
Un grande "mito" della civiltà umanistica, da Petrarca a Machiavelli a Montaigne, è quello del dialogo, lei lo definisce "negromantico", con i grandi scrittori del passato. In che cosa consiste?
«Petrarca ha un ruolo decisivo in questa vicenda. Certo, molti spunti ci sono già nei classici: ad esempio nelle Lettere a Lucilio di Seneca troviamo straordinari consigli di etica della lettura, su come leggere per controllare le passioni e affrontare il terrore della morte. Nel Medioevo c´è una ricca tradizione che unisce la lettura con la meditazione e l´arte della memoria. Quel che cambia è che Petrarca dialoga alla pari con i grandi autori classici».
Imitazione, invenzione, creazione: tre termini che si intersecano continuamente nel suo libro...
«Quella che ho ripercorso è una vicenda in cui scrivere significa imitare, in cui il nuovo nasce da un dialogo con l´antico, in cui ci si sente per molti versi in esilio nel proprio tempo e si cercano altrove gli interlocutori che permettano la rinascita».
Nel suo saggio La stanza della memoria lei ha ricostruito la centralità dell´arte della memoria nel Rinascimento. Ma oggi, in tempi di memoria artificiale, qual è la sua importanza?
«Italo Calvino diceva che è un peccato che a scuola non si studino più a memoria le poesie, e io sono d´accordo con lui. Nel senso che è importante coltivare la memoria, costruirsi appunto un tesoro personale, che arricchisce la nostra immaginazione e anche ci conforta. Questa in fondo è stata, nelle sue componenti più interessanti, l´arte della memoria: un esercizio che dilatava le capacità della mente, e univa insieme memoria e invenzione. C´era anche una componente più meccanica e ripetitiva, una "memoria artificiale" che in un certo senso anticipa la nostra esperienza. Del resto l´arte della memoria vive e si trasforma in relazione con le grandi rivoluzioni tecnologiche (dalla scrittura al manoscritto alla stampa). Oggi direi che il problema è proprio il controllo personale su questo sterminato magazzino di memoria che ci viene proposto: riuscire a interrogarlo senza farci dominare».
In che misura la "Repubblica delle lettere", quella comunità intellettuale basata sulla ricerca condivisa del buono, del bello e del vero in cui gli umanisti si riconoscono al di là delle differenze religiose e politiche, si pensava europea? E cosa è stato del loro insegnamento?
«Erasmo pensava a una "Repubblica delle lettere" che andava al di là dei singoli paesi e si arrabbiava con il nazionalismo arrogante dei ciceroniani romani, che non volevano riconoscere quanto di nuovo era maturato al di là dei loro confini. Voglio dire che costruire una comunità europea non è mai stato facile. Oggi credo che possiamo valorizzare le nuove esperienze dei giovani, che per piacere o per necessità si muovono con disinvoltura nel mondo. Credo che ci sia un patrimonio enorme da riscoprire e da valorizzare, per costruire un´Europa non del tutto assoggettata alla logica della finanza internazionale».
Sono sempre meno gli studenti che si riconoscono nei valori della cultura umanistica. Qual è la sua esperienza di docente di Letteratura italiana della Scuola Normale Superiore?
«Credo che molto si giochi nelle scuole medie, inferiori e superiori: quando facciamo i colloqui per l´ammissione degli studenti vediamo subito se hanno avuto dei bravi insegnanti. Certo, oggi trasmettere gli strumenti per apprezzare i nostri classici, e insieme per capire come il canone si rinnova, è una sfida difficile. Difficile ma non impossibile».

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