domenica 24 marzo 2013

Alla scoperta dell’Inquisizione garantista


Adriano Prosperi

"La Repubblica",  24 marzo 2013

Il titolo della raccolta di saggi di John Tedeschi (Intellettuali in esilio. Dall’Inquisizione Romana al fascismo, Edizioni di Storia e Letteratura) scelto dai curatori Giorgio Caravale e Stefania Pastore per indicare il “filo rosso” di questi studi fa pensare a quel legame tra fascismo e Controriforma celebrato da intellettuali del regime che suscitò la reazione di Benedetto Croce. Ma qui la continuità del filo ha un significato diverso, come vedremo. Intanto va detto che l’esilio per Tedeschi fu esperienza personale prima di diventare oggetto di studio. L’Italia sparì dal suo orizzonte di ragazzo nell’autunno del 1938, quando partì con la famiglia da Genova per gli Stati Uniti sul piroscafo “Vulcania”: la stessa nave che portò in America Paul Oskar Kristeller, anch’egli esule perché ebreo. Nell’ultimo capitolo di questo libro Tedeschi ricostruisce gli anni italiani di Kristeller (1933-1939) e mostra con quanta assiduità la polizia italiana spiò e annotò giorno per giorno i movimenti di quel pacifico professore tedesco: la stessa efficienza e burocratica stolidità del questurino che nell’autunno del 1967 a Perugia durante un convegno di studi storici voleva arrestare “Guido di Cesare Tedeschi” per il reato di renitenza alla leva. Guido era diventato John e il suo servizio militare l’aveva reso al paese che aveva salvato lui e la sua famiglia dalla fine di tanti altri parenti e amici dell’ebraismo ferrarese. La vendetta dei perseguitati, quella di Kristeller come quella di Tedeschi, è stata così generosa da apparire la più raffinata delle crudeltà: tutta l’opera loro, al pari di quella degli esuli del ’500, ha fatto conoscere nel mondo l’Italia e il suo più alto patrimonio intellettuale.
Gli studi di John Tedeschi hanno portato sugli esuli a causa di religione la luce di pazienti e accurate ricerche: la corposa sezione a loro dedicata nella seconda parte del volume ne offre una bella testimonianza. La prima riguarda la storia dell’Inquisizione cattolica. Ora, che un membro della minoranza ebraica italiana abbia investito tanta parte di una vita di studi all’Inquisizione del ’500 è un caso a sé che merita speciale interesse. Non si potrebbe immaginare una miglior occasione per esercitare sul tribunale del passato la vendetta di una condanna senza appello del tribunale della storia. Tanto più che esisteva una generale tendenza a concepire la storia dell’Inquisizione ecclesiastica come una “Leggenda Nera” fatta di torture e di roghi. Ma quello che ha fatto John Tedeschi è stato tutt’altro. I saggi del volume, raccogliendo il bilancio di una imponente messe di studi, mostrano fino a qual punto il lavoro storiografico dell’autore abbia innovato lo stato delle conoscenze. Oggi l’immagine dell’Inquisizione non è più quella della Leggenda nera. La nuova prospettiva da lui aperta e solidamente argomentata riconosce alle regole della Suprema Congregazione del Sant’Uffizio una correttezza di garanzie formali per gli imputati superiore a quella offerta allora nelle altre parti del mondo occidentale. Quanto agli esuli italiani, quello che Tedeschi ha ricostruito è il contributo di eretici e ribelli alla promozione e diffusione della cultura italiana nei paesi di rifugio. Mentre sull’Italia calava la cortina della censura, le opere di Dante, Boccaccio, Machiavelli, Guicciardini, Pomponazzi e tanti altri – scrive Tedeschi – «videro la luce grazie ai loro compatrioti all’estero».
La terza parte è dedicata allo storico degli eretici, Delio Cantimori, e alla rete internazionale che negli anni Trenta unì il suo nome a quello di Kristeller, Elisabeth Feist Hirsch e Roland Bainton. In continuità coi loro nomi prende così forma e sostanza il “filo rosso” intellettuale dell’opera di John Tedeschi. Ma la sua scelta nasce o no dall’esperienza dell’esilio perché ebreo? John Tedeschi dice che una molla del genere non la riconosce: se c’è, essa se ne sta «buried deep within me». Ma la domanda resta. Intanto per noi italiani l’omaggio più che meritato offerto a John Tedeschi è anche un’occasione per chiederci se nel declino presente della scuola e della ricerca e nell’esodo di intere generazioni di giovani studiosi non si debba riconoscere non un “filo rosso” ma il ritornante filo nero della peggiore storia italiana.

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