giovedì 28 febbraio 2013

PIETRO BEMBO E L'INVENZIONE DEL RINASCIMENTO


L'intellettuale spregiudicato che volse l'amore in volgare

LUCIANO DEL SETTE

"Il Manifesto", 27 febbraio 2013  

Nel quartiere romano di Testaccio, la targa della via intitolata ad Aldo Manuzio si limita a riportarne il nome. Chi fosse costui, rimane ignoto al cittadino o allo straniero che passa di lì. Se, sotto il nome, si indicasse il mestiere, tipografo, ciò non basterebbe ancora. Qualche indicazione potrebbe venire dalle date di nascita e di morte, 1449/1515. Nato a Bassiano, provincia di Latina, morto a Venezia, Manuzio fu tra gli attori di un'epoca culturale, il Rinascimento italiano, percorsa al fianco dell'inventore di quell'epoca, Pietro Bembo. «Inventore» perché Bembo seppe dare impulso e forma a un disegno che si prefiggeva di conferire all'Italia una dimensione artistica e intellettuale unitaria, mondata di localismi. Un coro armonizzato di voci, ma non una Corte nell'accezione tradizionale che si dà a questo termine. Piuttosto, attingendo dal linguaggio odierno, una rete diffusa di artisti, letterati, studiosi. Come Manuzio, seppure con qualche fortuna scolastica in più, la figura di Bembo non ha finora meritato la giustizia che le spetta. 
Per la prima volta, una mostra la fa emergere e la mette al centro del tutto (patrimonio immenso) che seppe costruire. Pietro Bembo e l'invenzione del Rinascimento, questo il titolo della rassegna presso il Palazzo del Monte di Pietà di Padova, fino al 19 maggio, può vantare diversi meriti. In primo luogo l'originalità della scelta di base dei suoi curatori (Guido Beltramini, Davide Gasparotto, Adolfo Tura), cui si è appena accennato. Poi di essere riuscita a ottenere il prestito di opere e documenti eccezionali da musei e collezioni private in Europa e nel mondo. Mai piegandoli, però, al ruolo di semplici richiami spettacolari, e invece assegnando loro il ruolo di elementi fondamentali ed esplicativi del contesto. Infine la capacità di guidare agilmente il visitatore attraverso un percorso di non facile approccio. 
Bembo nasce nel 1470, da Bernardo, diplomatico di spicco, e da Elena Marcello. La figura paterna rivestirà un ruolo rilevante non solo per il giovane Pietro, ma anche per l'uomo che diverrà segretario di papa Leone X e poi cardinale per volere di Paolo III. Viaggiando insieme al padre tra Firenze, Roma e Messina, Pietro affina l'amore per la letteratura. Il connubio con Aldo Manuzio inizia nel 1496, quando pubblica presso di lui il suo De Aetna; prosegue cinque anni dopo con un'edizione delle opere in volgare del Petrarca e un'altra, immediatamente successiva, di un'edizione della Commedia di Dante. Sono, e non sembri una boutade, i primi pocket nella storia dell'umanità. Prova ne costituisce il dipinto in mostra, Giovane con libro verde, del Giorgione, dove una figura maschile impugna un libro di piccolo formato, il guanto della mano destra bucato per poterne sfogliare le pagine. Manuzio, poi, conferisce ai testi uniformità di impaginato e di caratteri tipografici. 
Nel 1505 Bembo dà alle stampe, dedicandolo a Lucrezia Borgia, donna importante tra le molte da lui amate, Gli Asolani, trattato sull'amore redatto in volgare. I tre protagonisti incarnano l'amore con tutto il suo corredo di interrogativi, dubbi, ansie, paure; sono rappresentazione simbolica di una nuova generazione di aristocratici che vive scopertamente le proprie passioni e che, di nuovo Giorgione, tra gli altri, traspone sulle tele del Doppio ritratto e del Ritratto di giovane. Gli Asolani vedrà innumerevoli ristampe per tutto il Cinquecento e in tutta Europa. 
Il primo periodo romano, dal 1512 al 1521, segna una svolta decisiva nella vita di Pietro. Leone X, figlio di Lorenzo il Magnifico, lo nomina suo segretario. Il papa intende proseguire la strada del predecessore, Giulio II, committente di Michelangelo per gli affreschi della Cappella Sistina e fautore di una nuova fioritura artistica e letteraria. Bembo comprende che è in atto una rivoluzione figurativa, i cui principali protagonisti sono Michelangelo e Raffaello (al secondo lo legherà una profonda amicizia, e per lui scriverà l'epitaffio scolpito sulla tomba del pittore al Pantheon), geniali creatori di un linguaggio espressivo senza precedenti. È un linguaggio universale, forte dei retaggi più nobili della Roma antica da cui trae linfa per dare forma al Nuovo. Bembo commissiona opere, acquista capolavori dell'antichità e reperti archeologici, costruendo la sua collezione che comincerà a ordinare a Padova, dove ritorna nel 1521, e che troverà collocazione sei anni dopo, quando Pietro prenderà possesso della casa di via Altinate. 
La mostra ne offre magnifici esempi: i lavori del Mantegna e del Perugino, di Leonardo e Tiziano, del Sansovino, di Pietro e Tullio Lombardo; la raffinatezza del mobilio e della viola da braccio di Giovanni d'Andrea; i busti d'epoca romana, e reperti rarissimi quali il sigillo d'Augusto e la Mensa Isiaca. Altra preziosa testimonianza esposta è una lettera di Raffaello al pontefice, nella quale il pittore chiede di porre fine al saccheggio indiscriminato delle vestigia romane e di iniziarne la tutela e il restauro. 
Fin dagli inizi del secolo, Bembo lavorava su un trattato che darà un contributo fondamentale agli intenti di unitarietà così tenacemente coltivati. Sono le Prose della volgar lingua, in forma di dialoghi. Il primo, vero, trattato sulla lingua italiana. Lo studioso ha come punti di riferimento Boccaccio e Petrarca. Perché non Dante? Scrive Cesare Segre: «È stata proprio la riflessione sui problemi della lingua a rendere Bembo consapevole che la stupenda costruzione linguistica della Commedia non poteva essere additata come modello. In un ambiente in cui la lirica faceva aggio sulla narrazione, in cui il linguaggio mirava al massimo di raffinatezza, la Commedia finiva per presentarsi come qualcosa di irripetibile, e perciò anche di inimitabile». 
Gli ultimi anni di vita di Pietro lo vedono nuovamente a Roma. Ignorando le critiche per la scelta di un uomo che mai aveva fatto mistero dei suoi amori, Paolo III lo nomina cardinale. In questa veste lo ritrae Tiziano, lo sguardo assorto, la mano destra aperta. Al papa che si prefiggeva di restituire autorevolezza e statura morale a una Chiesa corrotta, Bembo risponderà con tutta l'influenza e il prestigio di una figura celebre ormai ben oltre i confini d'Italia. La morte arriva il 18 gennaio del 1547. Pietro viene sepolto in Santa Maria Sopra Minerva. Il dialogo di molte voci, l'Italia di una lingua sola, sono realtà in divenire. Ed è il suo lascito più prezioso.

R. CARNERO, Rinascimento di Bembo, "L'Unità", 6 marzo 2013: CLICCA QUI.

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