domenica 3 febbraio 2013

L'Occidente salvato a Maratona



Ma a Maratona chi vinse davvero?

Uno storico ricostruisce la grande battaglia in cui Atene sconfisse l’impero persiano
di Alessandro Barbero

"La Stampa - TuttoLibri", 9 febbraio 2013

Nel 1851 lo storico inglese Edward Creasy inventò una categoria destinata a duratura fortuna: le battaglie decisive della storia. Le sue «Fifteen Decisive Battles of the World» descrivevano una traiettoria dalla direzione ben precisa. L’Europa si era difesa per secoli dalla barbarie, trionfando dei Cartaginesi al Metauro, degli Unni ai Campi Catalaunici e degli Arabi a Poitiers, e questo aveva reso possibile lo sviluppo di una civiltà cristiana e occidentale che agli occhi del pubblico vittoriano rappresentava ovviamente il vertice della storia umana. Nell’orizzonte europeo, la saggezza della Storia aveva poi creato l’Inghilterra con la battaglia di Hastings, l’aveva protetta con la sconfitta dell’Invincibile Armada, le aveva consentito di trionfare a Waterloo; anche se Creasy, che non è uno sciocco, considera altrettanto decisive le sconfitte inglesi, che hanno permesso ai rivali di sopravvivere e reso pluralista l’Occidente: dalla vittoria di Giovanna d’Arco a Orléans a quella di Giorgio Washington a Saratoga.
Nel secolo e mezzo che ci separa da Creasy sono apparse molte altre rassegne di battaglie decisive, ed è istruttivo scoprire come a seconda dei casi è stata modificata la lista: per gli storici americani del primo Novecento, ad esempio, le battaglie di Santiago e di Manila vinte nel 1898 contro gli Spagnoli, che portarono nell’orbita dell’impero americano Cuba e le Filippine, rientravano a pieno titolo fra gli scontri decisivi dell’umanità, e forse avevano ragione loro, anche se queste battaglie oggi nessuno le ricorda più. Ma la prima delle battaglie decisive è sempre, per tutti, la stessa con cui Creasy apriva il suo libro: Maratona, dove nel 490 a. C. diecimila opliti ateniesi sconfissero l’esercito mandato dai Persiani a sottomettere la Grecia, e «salvarono la civiltà occidentale».
Uno storico postmoderno, se gli fosse chiesto di scrivere un libro su Maratona, sarebbe tentato di verificare se questo venerabile luogo comune non possa essere rovesciato. Supponiamo che gli Ateniesi fossero stati sconfitti: e allora? I Persiani avrebbero preso e bruciato Atene, ma questo è esattamente quello che accadde dieci anni dopo, quando Serse ritentò l’impresa in cui suo padre Dario aveva fallito. Subito dopo gli invasori avrebbero incontrato un nemico alquanto più pericoloso degli Ateniesi, gli opliti spartani schierati ad aspettarli sull’Istmo di Corinto, e lì la «lancia doriese», che perfino l’Ateniese Eschilo, combattente di Maratona, menziona con timoroso rispetto nei Persiani, ne avrebbe fatto macello, esattamente come accadde undici anni dopo a Platea.
Ma vogliamo rovinarci: supponiamo pure che la vittoria persiana a Maratona fosse seguita dalla sottomissione delle poleis al Gran Re. Siamo proprio sicuri che la civiltà greca sarebbe stata soffocata nella culla, e con lei la civiltà occidentale? I Persiani, in un territorio così remoto, si sarebbero limitati a imporre dei governi a loro favorevoli e a riscuotere il tributo, come facevano con le città greche dell’Asia Minore, i cui guerrieri, marinai e ingegneri servirono fedelmente Serse. Quello persiano era un impero florido e tollerante, capace di suscitare affetto nei più rancorosi fra i popoli sottomessi: gli Ebrei, ad esempio, prosperarono sotto i Persiani, a tal punto che nel libro di Esdra si afferma chiaramente che è stato Dio a creare l’impero persiano, e nel libro di Isaia il suo fondatore Ciro il Grande è addirittura chiamato il Messia. Perché non avrebbero potuto prosperare anche i Greci?
Richard Billows, professore alla Columbia, non ha nessuna intenzione di avallare simili fatuità postmoderne. Il suo racconto è saldamente ancorato al presupposto che Maratona fu davvero una battaglia decisiva: se Milziade fosse stato battuto, la storia del mondo sarebbe stata un’altra, e noi non saremmo qui. E può darsi che sia proprio necessaria questa fede per affrontare ancora una volta il racconto di una battaglia su cui abbiamo un’unica fonte coeva, Erodoto. Come sempre, quando si racconta una battaglia antica le cui fonti sono già state passate al setaccio, c’è poco di nuovo da scrivere, e il libro si regge o cade sulla bravura narrativa dell’autore, e sulla sua capacità di immedesimarsi nell’esperienza vissuta dei protagonisti. Da questo punto di vista le pagine in cui Billows racconta il conflitto si leggono con grande piacere e profitto. Bisogna però avvertire che si tratta al massimo d’una cinquantina di pagine, perché, con tutta la buona volontà, non è possibile tirarla più in lungo. La maggior parte del libro assomiglia piuttosto a un breve corso di storia greca e, in minor misura, persiana, fino al 490: alla fine, si rimane con la sensazione che sarebbe forse stata più istruttiva la versione postmoderna.


Per Richard A. Billows senza l'epica vittoria ateniese sui persiani non avremmo avuto la grande civiltà classica del V secolo. Forse


Antonio Carioti

"Corriere - La Lettura",  3 febbraio 2013

Conoscere in anticipo le mosse del nemico può consentire di rovesciare situazioni difficilissime. Accadde a Maratona, in una notte di agosto (ma secondo alcuni storici era settembre) del 490 a.C., quando i comandanti ateniesi appresero, grazie alla diserzione di alcuni greci arruolati nell'esercito persiano, che gli invasori stavano reimbarcando parte delle loro truppe, in particolare la temibile cavalleria, per circumnavigare l'Attica e colpire Atene, rimasta quasi indifesa. Nella successiva discussione prevalse Milziade, che voleva attaccare al levar del sole, per sfruttare la divisione delle forze nemiche prima che le operazioni d'imbarco terminassero.
Nonostante la superiorità numerica, ancora consistente, dello schieramento avverso, i greci travolsero i persiani, ne uccisero circa 6.400 ed ebbero appena 200 caduti. Ma riuscirono a catturare solo sette navi. Il resto della flotta salpò e si diresse verso la capitale dell'Attica per cogliere un'immediata rivincita. Allora gli ateniesi si misero rapidamente in marcia per tornare a difendere la città. Fu un'impresa epica, forse ancora più faticosa della precedente battaglia, percorrere decine di chilometri armati di tutto punto nella canicola estiva. Ma quando i persiani videro i nemici che affluivano di fronte alla baia dove intendevano approdare, preferirono girare la prua delle navi e accettare la sconfitta.
Sarebbero tornati dieci anni dopo, impiegando forze ben maggiori, ma si sarebbero trovati di fronte una solida coalizione delle maggiori città greche, Atene e Sparta in testa, che li avrebbe sbaragliati sul mare a Salamina e per terra a Platea. Tuttavia quella del 490 a.C., sostiene lo storico Richard A. Billows della Columbia University (New York) nel saggio Maratona (Il Saggiatore), fu la battaglia più importante. Senza quella vittoria, che salvò Atene, il resto della Grecia non avrebbe mai potuto resistere alla successiva aggressione.
Non solo. Basta considerare come i persiani avevano trattato le città elleniche ostili (per esempio Mileto ed Eretria) dopo averle espugnate, con deportazioni in massa della popolazione, per capire che tutte le meraviglie del V secolo ateniese (teatro, arte, filosofia, architettura, storiografia) forse non avrebbero mai visto la luce. E la cultura classica non sarebbe esistita, o avrebbe preso un corso diverso. Insomma, conclude Billows, i 9.000 ateniesi che vinsero a Maratona, assieme a 600 alleati di Platea, «salvarono la civiltà occidentale».
In casi del genere c'è il rischio di eccedere nella retorica. Non va dimenticato, sottolinea lo storico tedesco Wolfgang Will nel libro Le guerre persiane (tradotto un anno fa dal Mulino), che conosciamo quegli eventi attraverso il punto di vista dei greci, in particolare di Erodoto, e che certo i loro avversari li vissero in modo diverso. Anzi, scrive Will, «non si può negare che, sotto la dominazione ateniese prima e spartana poi, i greci siano stati più oppressi di quanto non lo fossero stati dai persiani». Non è neppure escluso che, se lo scontro di Maratona avesse avuto un esito diverso, l'imperatore Dario I si sarebbe accontentato di restaurare ad Atene un sistema di governo autoritario (l'ex tiranno Ippia era suo alleato), senza infierire troppo sulla città. E magari il regime popolare sarebbe stato poi restaurato, come avvenne alla fine del V secolo, dopo la sconfitta ateniese nella guerra del Peloponneso.
La gamma delle ipotesi, quando si ragiona in termini controfattuali, resta sempre molto ampia. E la conclusione di Billows, benché ragionevole, pecca forse di determinismo. Più modestamente si può dire che senza il trionfo greco a Maratona, oggi non si disputerebbe una gara di atletica chiamata così, anche se l'episodio del corridore che si precipita ad Atene per annunciare la vittoria e viene stroncato dallo sforzo è solo un'invenzione, di cui Erodoto non parla. Eppure oggi la parola «maratona» è nota soprattutto per quel motivo. D'altronde non è raro, nella vicenda umana, che la leggenda prevalga sulla storia.

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