lunedì 24 dicembre 2012

Sant'Agostino, uno al giorno


Guida spirituale della filosofia ha fondato l'idea d'Europa


Armando Torno

"Corriere della Sera -  La Lettura",  23 dicembre 2012


Ogni giorno nel mondo esce un libro con opere di Agostino o con un saggio che ne analizza il pensiero. Poco meno di quattrocento titoli ogni dodici mesi dedicati al lascito di questo santo e filosofo che da un millennio e sei secoli ha riversato sull'umanità un oceano di pagine e di idee. In tale computo non sono compresi saggi, articoli e altri contributi a lui dedicati, appartenenti a quel genere che non si concretizza d'acchito in volume. Per limitarci alla lingua italiana, si può notare che sono disponibili nel nostro mercato editoriale ben più di 350 titoli cartacei riguardanti Agostino. Giuliano Vigini, che oltre ad essere un esperto di editoria, ha curato antologie e scritti di questo autore, sostiene che il prossimo anno, dedicato alla fede, i numeri saranno destinati ad aumentare. Oggi, utilizzando le cifre care alla statistica e alle previsioni elettorali, potremmo dire che si pubblicano 1,05 opere di e su di lui ogni giorno; nel 2013 si dovrebbe arrivare a 1,09, ovvero a quattrocento titoli. Non dimentichiamoci che il Papa lo cita continuamente e ne raccomanda la lettura. La qual cosa non è una sponsorizzazione da poco. Le tabelle di Vigini offrono anche una sorta di geografia degli interessi. Aggiungiamo che le nazioni agostiniane forti sono Francia (la Bibliothèque augustinienne prevede l'opera completa in 85 volumi), Spagna (decine di tomi già usciti nella Biblioteca de autores cristianos), Italia, Paesi di lingua inglese (Stati Uniti, Gran Bretagna). Seguono i tedeschi, che tuttavia hanno dato agli studiosi edizioni critiche indispensabili (Giovanni Reale, curatore dell'ultima traduzione e interpretazione delle Confessioni, si è basato sul testo di Martin Skutella, pubblicato da Teubner nel 1969). Che aggiungere? Semplicemente che Agostino è il crocevia dei grandi temi del pensiero occidentale e intuì l'idea portante continuamente ripresa dai sommi: cercare Dio è l'inizio di tutto.
In italiano è disponibile l'opera integralmente tradotta, con testo latino a fronte. La progettò Agostino Trapè (priore dell'ordine) per l'editrice Città Nuova e il primo volume apparve nel 1965. Ci vollero una quarantina d'anni per terminarla. Dopo la scomparsa del fondatore, il testimone passò a Remo Piccolomini e la realizzazione è stata curata da Franco Monteverde. Sono stati necessari 70 volumi. Ora è in corso la pubblicazione dell'iconografia; sono allo studio ulteriori indici e si sta lavorando alle opere attribuite. Alla fine sarà una mole di poco meno di 50 mila pagine, che ha coinvolto una ottantina di studiosi. Ma tutto questo patrimonio è anche online. Lorenzo Boccanera, webmaster del sito www.augustinus.it (in esso si trova anche una traduzione spagnola di circa la metà del lascito agostiniano, nonché collegamenti a siti dove si possono leggere traduzioni inglesi e francesi) ricorda che viene visitato da poco meno di mille lettori distinti certificati al giorno. Con qualche punta favorita dagli eventi: il 30 gennaio e il 1° febbraio 2010, allorché la Rai trasmise lo sceneggiato su Sant'Agostino, si toccò — nota Monteverde — il picco di 18 mila utenti. E il fenomeno durò per alcuni giorni. Va anche precisato che il sito è completamente gratuito. Boccanera è un ingegnere e ama i dati. Senza nulla togliere al valore dell'opera di Agostino, sottolinea che quantitativamente lo stampato latino-italiano equivale a 350 volte il testo de I Promessi sposi, a 100 volte la Divina Commedia (con le relative chiose). Di più: il vocabolario di Agostino è composto da 117.500 lemmi, ma se si contano declinazioni e verbi si giunge a 220 mila. Con Office un dizionario latino-agostiniano, per essere utilizzabile, si è dovuto spezzare in 7 file. La parola più citata dal santo è Deus (56.346), che con Pater arriva a 67.749; Christus è a 22.818, tuttavia se si unisce a Dominus, Verbum, Filius, Iesus, Salvator si giunge a 74.234. Peccatum, con l'inevitabile peccator, è presente 20.628 volte e batte amor, che unito a caritas e dilectio, giunge a 12.604. Né va dimenticato che Città Nuova ha pubblicato, in calce all'opera, un indice analitico che ha richiesto 5 volumi distinti, con 700 mila frasi e 200 mila rimandi per eventuali confronti. La sola voce Agostino occupa 250 pagine stampate e più di 15 mila frasi. E vi sono 5 volumi di lettere raccolte in circa 3.500 pagine. Ci assicurano che il sito, curato anch'esso da Monteverde con l'apporto tecnico di Boccanera, non ha fatto calare le vendite del cartaceo, anzi si stanno preparando nuove edizioni perché alcune opere si sono esaurite. Inoltre sono nate, accanto a questa impresa, altre biblioteche. Si prenda, per esempio, il sito del fondatore www.agostinotrape.it: contiene tutti i documenti di studio digitalizzati dell'intera sua vita, anche quelli giunti da diversi pontefici, cardinali e ricercatori di ogni parte del mondo. Autore di oltre 120 titoli editoriali, è diventato anche grazie a questo sito il punto di riferimento per gli studi agostiniani.
Oltre tali considerazioni quantitative, non è possibile dimenticare l'influenza esercitata dal santo sul Cristianesimo e dal filosofo nella storia del pensiero. Quell'oceano di parole, di idee, di intuizioni ha continuamente condizionato gli uomini e la loro fede. Dal punto di vista religioso, Agostino resta attualissimo per le sue considerazioni sull'itinerario interiore testimoniato nelle Confessioni o per quanto ha lasciato nei quindici libri de La Trinità. Per rendersi conto, basterebbe aprire la recente edizione di quest'ultima opera, curata da Giovanni Catapano e Beatrice Cillerai (edita ne «Il Pensiero occidentale» di Bompiani, pp. 1.496, 38), per accorgersi che lo scopo dell'autore fu quello di rendere ragione — partendo dalla fede e utilizzando le facoltà conoscitive a nostra disposizione — dell'unicità e identità sostanziale di Padre, Figlio e Spirito Santo. E non vanno dimenticati i commenti biblici. Quello sui Salmi si legge nei sei tomi di oltre 5 mila pagine di Città Nuova. Ma ve ne sono a Giovanni, né mancano trattati sul Discorso della montagna, sulle questioni poste dai Vangeli o per la Lettera ai Romani; vi sono, tra l'altro, annotazioni a Giobbe e poi conviene aggiungere eccetera. Le opere polemiche — contro i Manichei, i Donatisti, Giuliano et similia — occupano sedici tomi e in essi si trova una miniera di informazioni sul cristianesimo dei primi secoli e sulle controversie che ne hanno caratterizzato la diffusione. Per lo storico delle religioni o per il teologo le opere di Agostino sono ancora un riferimento indispensabile. E in filosofia? Anche in tal caso, temi come il tempo, il male, il libero arbitrio, la fede, solo per limitarci ad alcuni, hanno in questo autore una fonte continuamente consultata. Uno studioso quale Luigi Alici ha sottolineato che «il plesso Deum et animam» è al centro del pensiero di Tommaso d'Aquino; inoltre da Agostino partono le riflessioni di Lutero ma anche quelle opposte di Giansenio, le medesime che daranno origine al cattolicesimo di Pascal. Nemmeno il movimento di idee che caratterizza il pensiero di Cartesio può farne a meno, anzi alcuni aspetti dell'agostinismo sono stati utilizzati per difendere le prospettive di questo filosofo francese. E agli inizi del '900 uno studioso come Henri-Xavier Arquillière ideò la formula di «agostinismo politico»: ad esso riconduceva, tra l'altro, le tendenze teocratiche del XIII secolo. Ma dall'immenso lascito transitava anche il concetto di «guerra giusta», utilizzato ancora in tempi a noi molto vicini. Che dire? Tali tesi vennero contestate da illustri accademici, ma La città di Dio restò un'opera letta dai grandi spiriti politici. Giuseppe Prezzolini la ritrovava, insieme ad altre intuizioni di Agostino, in Machiavelli. Mentre María Zambrano — lo ha ricordato Giovanni Reale — ha inteso le Confessioni come l'atto di nascita dell'idea di Europa. Non c'è che l'imbarazzo della scelta. Nell'elenco dei personaggi che hanno dedicato tempo ed energie ad Agostino ci sono un po' tutti, da Bergson ad Einstein, da Petrarca a Voltaire (che cercava di criticarlo senza sconti), né mancano i teologi del Novecento. Inutile stilare un elenco di questi ultimi perché Barth, De Lubac, lo stesso Ratzinger, von Balthasar o Rahner hanno dedicato energie notevoli a codesto autore. Cattolici, protestanti, razionalisti del Seicento francese e persino molti teorici della musica non possono non definirsi agostiniani. E anche chi legge le pagine di Heidegger relative al tempo, è tentato di tornare a quelle da lui scritte su una materia così bisbetica. Dicevamo che questo autore è un oceano. Le sue idee, del resto, hanno toccato o permeato buona parte dei ragionamenti umani. Oggi, dopo aver meditato sul pensiero debole e su quello corto, siamo impotenti quantitativamente e qualitativamente dinanzi ad Agostino. Forse si potrebbe parlare di lui come del Platone cristiano. Ma questa, come si suol dire, è un'altra storia. E un giorno qualcuno la racconterà.

Dal manicheismo al cristianesimo. La vita

Aurelio Agostino (Tagaste 354 – Ippona 430), uno dei Padri della Chiesa di maggior influenza in ogni epoca, studiò retorica a Cartagine e tale materia insegnò anche a Roma e a Milano. Attratto da correnti quali manicheismo, scetticismo e neoplatonismo, trovò la pace intellettuale convertendosi al cristianesimo. Fu battezzato a Milano da Ambrogio, insieme al figlio Adeodato. Ritornato in Africa, nel 395 diventò vescovo Le opere Tra le sue innumerevoli opere vanno innanzitutto ricordate le «Confessioni» in 13 libri, che lasceranno una traccia indelebile nella cultura occidentale; quindi «La città di Dio» in 22 libri. In essa si trovano le linee di una teologia della storia, distinguendo la città degli uomini che vogliono vivere in pace secondo la carne e il benessere terreno, e quella di coloro che desiderano vivere secondo lo spirito aspirando alla beatitudine eterna. Tra le altre, fondamentale il «De Trinitate», in 15 libri, punto di arrivo della patristica sul piano della speculazione relativa alla Trinità.



Le confessioni secolarizzate 
Format letterario e televisivo

Dai romanzi di Rousseau al Grande Fratello 
Il vissuto personale viene rivelato in pubblico

Guido Vitiello

La confessione è un genere letterario? Sì, ma lo diventa solo al termine di una lunga secolarizzazione. Tutto comincia, a sentire María Zambrano, con Giobbe, il giusto che lamenta le sue sventure in prima persona. Dall'erosione di quell'antico ghiacciaio biblico la confessione, con Sant'Agostino, prende corso e figura di fiume e scorre, allontanandosi via via dalla sua fonte religiosa, fino alle Confessioni di Rousseau, per sfociare infine nei romanzi di Proust o di Joyce. Questa, pressappoco, la linea tracciata nel saggio La confessione come genere letterario. Letterario, ma fino a un certo punto: ogni confessione, dice Zambrano, è parlata anche quando è scritta, aspira a essere parola pronunciata a viva voz. Parola, vorremmo aggiungere, bisbigliata in un ipotetico confessionale dove al di qua della grata siede il lettore-sacerdote, che dispensa indulgenze e assoluzioni. Molto si è scritto, dai tempi di María Zambrano, sulla laicizzazione della confessione che diventa diario, memoriale, romanzo e da qualche tempo anche un ricco filone editoriale (dalle Confessioni di un sicario dell'economia alle Confessioni di una groupie, passando per decine d'altri titoli). Un po' meno si è ragionato sulle metamorfosi laiche del confessionale, l'arredo liturgico semplice e ingegnoso che il cardinal Borromeo diffuse nella Milano della Controriforma, con quella lastra di metallo traforata che consente di dire cose terribili senza esser visti, e quei tendaggi che proteggono la penombra di un rituale che non è pubblico ma che non è neppure del tutto privato, e che anzi tra pubblico e privato, tra istituzione e coscienza, consente i commerci più vari.
Chateaubriand definì il sacramento della confessione «capolavoro della saggezza», e tutto sta a intendersi se fosse all'opera il genio spirituale del cristianesimo o il genio secolare del gesuitismo. Il confessionale, insegnano gli storici, è stato per secoli un formidabile strumento di governo, il luogo di un potere capillare amministrato in segreto. Benché declinante, lo è tuttora, e ogni tanto qualcuno cerca di divulgarne gli arcani: dall'inchiesta Il sesso in confessionale dei primi anni Settanta, a Giordano Bruno Guerri che girò per parrocchie da finto penitente e raccontò tutto nel libro Io ti assolvo, a Pino Nicotri, che ai tempi di Mani pulite si spacciò per politico corrotto e andò a sentire cosa gli dicevano i preti (Tangenti in confessionale), fino a inchieste più recenti sulla stessa falsariga. Ma i legami tra confessione e potere non si esauriscono qui. Il confessionale è metafora più vasta, perfino — si può azzardare? — uno dei grandi archetipi del potere italiano, il simbolo di uno spazio confidenziale ma solenne, intimo ma istituzionale. D'altronde, in un Paese che passa allegramente di controriforma in controriforma senza riformarsi mai, non c'è da stupirsi che i riti della politica siano anch'essi di derivazione tridentina, come mostrò Sciascia negli «esercizi spirituali» di Todo modo. Anticaglie democristiane, vecchie liturgie di piazza del Gesù spazzate via dalla politica spettacolo? Forse, ma non del tutto, se pensiamo che il libro-intervista di Massimo Mucchetti al banchiere Cesare Geronzi porta il titolo Confiteor (Feltrinelli), che soffonde come da un turibolo un forte odore di sacrestia. Geronzi è un cattolico di rito andreottiano, ed è difficile non rievocare quel vecchio romanzo di Giulio Andreotti, Operazione via Appia, dove un ex seminarista all'epoca del fascismo diventa intercettatore e origlia conversazioni tra potenti. Ecco, il confessionale è la metafora di un Paese dove le parole captate, intercettate, scambiate a mezza voce, valgono più dei discorsi pubblici e dei proclami ufficiali, dove tutto quel che conta davvero è sussurrato in contesti informali. Solo nel regno opaco della politica-confessionale si capiscono gli esordi avventurosi del Minzolini cronista, che in piedi sulla tazza del gabinetto nella sede del Psi di via del Corso origliava le riunioni di partito.
Oggi forse non ce ne sarebbe più bisogno. E non certo perché le cose si svolgano in piena luce, al contrario: il cono d'ombra del confessionale si è allargato fino a fagocitare larga parte della sfera pubblica. Non che il magistrato-intercettatore sia un succedaneo del confessore (i pastori d'anime sono di solito più indulgenti), ma un lascito di quella lunga tradizione confidenziale e penitenziale vive ancora nella nostra ossessione pettegola per le intercettazioni divulgate a mezzo stampa. È la via italiana a quella che il sociologo Zygmunt Bauman, così prodigo di definizioni epocali, ha chiamato «società del confessionale», dove la linea di confine tra pubblico e privato è resa ormai indiscernibile dai social network, e dove il confessionale ha potuto vantare anche le sue glorie televisive nel format del Grande fratello. Bauman sceglieva come spartiacque simbolico un talk show francese degli anni Ottanta in cui una certa Vivienne, davanti a milioni di telespettatori, aveva confidato di non aver mai avuto un orgasmo nel suo matrimonio poiché il marito era afflitto da eiaculazione precoce. Era, per Bauman, l'avvento di «una società di un genere finora inaudito e inconcepibile, in cui si piazzavano microfoni dentro i confessionali, cioè le cassette di sicurezza e i ricettacoli per eccellenza dei più segreti fra i segreti — il genere di segreti che si potevano rivelare soltanto a Dio o ai suoi messaggeri e plenipotenziari terreni —, e in cui quei microfoni erano collegati ad altoparlanti sistemati nelle pubbliche piazze». Oggi i confessionali sono disertati, e non c'è più un curato d'Ars davanti al quale i fedeli fanno la fila per raccontare i loro casi. Capita pure che quei vecchi arredi siano acquistati da qualche antiquario e — allegoria perfetta della secolarizzazione — convertiti in armadi. Ma guai a trarre conclusioni affrettate: non è ancora chiaro, infatti, se i confessionali scompaiono perché non servono più o se, al contrario, non servono più perché sono ormai ovunque.

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