domenica 2 dicembre 2012

I libri di testo in formato digitale...


... spiano gli alunni (e danno voti all'impegno)

Evgeny Morozov

"Corriere della Sera", 1 dicembre 2012

Molti pensano che l’istruzione abbia un brillante futuro. Ad attrarre l’attenzione sono stati soprattutto i cosiddetti «massive online open courses» (MOOCs) — corsi online aperti a tutti. Grazie a società for-profit come Coursera e Udacity e a iniziative non-profit come edX (una collaborazione tra Harvard e Mit), oggi si possono trovare online migliaia di lezioni gratuite. I MOOCs aggiungono una gran quantità di contenuti attendibili ai milioni di testi e videoclip che già circolano in rete in modo caotico. E sono attraenti, perché evitano il rischio di guardare un video di YouTube per poi scoprire che il docente è un ciarlatano.
La digitalizzazione dell’istruzione è però accompagnata da un altro fenomeno: anche la stessa infrastruttura dell’apprendimento sta cambiando. Prendiamo una società come CourseSmart, leader indiscussa nel settore dei libri di testo digitali. Fondata nel 2007 da alcune grandi case editrici (tra cui Pearson e Mc-Graw-Hill Education), CourseSmart fornisce più di 20 mila libri di testo in formato elettronico (all’incirca il 90% di tutti i libri scolastici del Nord America); questi testi si possono leggere su computer, tablet, smartphone, sia online che offline. La società ha anche ambizioni globali, si sta espandendo in Medio Oriente e Nord Africa. Ai primi di novembre Course-Smart ha presentato un sistema di verifica online dello studio chiamato CourseSmart Analytics. Dato che i suoi libri di testo sono digitali, CourseSmart è in grado di monitorare la quantità di tempo che ciascuno studente passa su ogni pagina del libro, quali capitoli tende a saltare, quali passaggi gli creano difficoltà. Mettendo insieme queste informazioni, il sistema dà a ogni studente un «voto sull’impegno», che viene comunicato al docente. Presto metterà anche a disposizione degli editori uno strumento che permetterà di vedere come lo studente interagisca con i loro libri. Tre università americane si sono già dette disposte a provare.
Il proposito è quello di permettere agli insegnanti di identificare e riorganizzare le parti di un testo che presentano più difficoltà, aiutando la casa editrice a proporlo in una forma più accessibile. Ma è comunque una prospettiva inquietante. Immaginate un corso di letteratura in cui gli allievi debbano studiare 1984 di Orwell su libri di testo elettronici che di fatto li spiano; oppure un corso di storia in cui gli studenti usino i libri smart per apprendere la storia del sistema di controllo della Stasi.
Che influenza avranno sulle capacità critiche dello studente questi testi dotati di monitoraggio? Essere «critici» significa imparare a distinguere tra fonti diverse, nuotare contro le correnti intellettuali dominanti e a volte rifiutarsi di leggere i testi assegnati. Dovremmo considerare «disimpegnati» gli studenti che in Unione Sovietica fingevano di studiare i principi del marxismo-leninismo — così come gli insegnanti che fingevano di insegnarglieli? Non tutti possono essere liberi pensatori e difendere in pubblico la propria riluttanza a leggere un testo che trovano improprio; la resistenza è spesso passiva e non particolarmente eroica.
Alcuni studenti potrebbero poi non aver bisogno di leggere l’intero capitolo, perché ne conoscono già il contenuto. Il loro «voto sull’impegno» sarà basso, ma non sarà indicativo della loro conoscenza. Oltretutto, una volta che il «voto sull’impegno» fosse inserito nel sistema di valutazione delle autorità scolastiche, vi sarebbero forti incentivi ad aggirarlo — magari semplicemente voltando a vuoto le pagine elettroniche. Questo farebbe salire i voti, ma ancora una volta non ci darebbe indicazioni sulla qualità dell’apprendimento. L’istruzione oggi soffre di molti problemi, ma certo non della mancanza di obiettivi quantificati. Gli studenti vorranno ancora leggere un libro cartaceo se questo non fa salire il loro «voto sull’impegno»? Molti governi — specialmente di Paesi come Arabia Saudita o Zimbabwe — potrebbero voler sapere quali parti dei libri di storia gli studenti trovino noiose e quali interessanti, e nei regimi repressivi questo non fa presagire nulla di buono. Questi governi si doteranno anch’essi di piattaforme come quelle pensate per editori e docenti? Gli studenti con voti bassi su eventi importanti della storia nazionale saranno convocati dagli equivalenti locali del Kgb?
Anche nei Paesi democratici è però importante indagare che fine facciano i dati generati dagli studenti: tutti quei clic, quel voltar pagina e sottolineare. Potrebbero sembrare azioni banali, ma integrate con altri dati — ad esempio, gli amici su Facebook o le ricerche su Google — diventeranno molto interessanti per chi investe in pubblicità. Anche in questo caso, il rischio è che i libri elettronici promuovano il conformismo. Se le nostre abitudini di lettura potessero un giorno comparire sul nostro profilo online — visto dai potenziali datori di lavoro — ci penseremmo due volte prima di leggere un libro considerato sovversivo o di non leggere un testo considerato standard.
E questo non coinvolge solo le aziende che gestiscono l’ultimo anello della catena del libro di testo elettronico, come CourseSmart; ma anche — e a maggior ragione — quelle che, come Amazon e Apple, realizzano i gadget su cui questi testi vengono letti.
Queste grandi aziende tecnologiche non solo influenzano quel che gli studenti imparano, ma anche come lo imparano. Amazon, ad esempio, ha recentemente lanciato una nuova piattaforma, chiamata Whispercast, che consente alle scuole che usano in classe il suo Kindle di limitarne o bloccarne alcune funzioni. È così possibile impedire l’accesso a siti di social network o a Internet, o disattivare le funzionalità di Kindle che possano essere considerate una fonte di distrazione.
Tutto questo potrebbe essere utile a breve, ma sembra che gli studenti, presunti beneficiari della «rivoluzione digitale», stiano subendo l’imbroglio della retorica rivoluzionaria. L’era in cui gli studenti possono cercare qualsiasi cosa su tablet o e-reader — come una parola sconosciuta o una figura storica — potrebbe finire prima ancora di cominciare. Si risolverebbe forse il problema della distrazione, e sarebbe già un risultato. Ma c’è il rischio di inibire lo sviluppo di modi di apprendimento altamente interattivi, che potrebbero soddisfare — e persino espandere — la curiosità degli studenti più promettenti, anche se difficili. Libri di testo monitorati ed e-reader controllati non ci darebbero un altro Einstein.

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