domenica 9 dicembre 2012

A lezione di calligrafia: la bella scrittura come brand


Nell’era del web il lettering diventa ancora di più espressione dell’anima

Michele Boroni



"Corriere - La Lettura",  9 dicembre 2012


Scrivere con i segni, disegnare attraverso le lettere. Questa è, in estrema sintesi, l'essenza della calligrafia. In realtà, dietro una disciplina che a molti potrà sembrare desueta e ricordare l'opera paziente di antichi amanuensi o gli esercizi di bella scrittura d'altri tempi, si nasconde un universo multiforme e una pratica contemporanea che tutti noi possiamo frequentare. Dopo l'ubriacatura tecnologica e l'omologazione dei software, era inevitabile un ritorno alla manualità. In Italia e in tutta Europa nascono corsi sia per migliorare la scrittura manuale, sia per scoprire il proprio potenziale creativo.

«Con l'avvento della stampa si pensava che la scrittura a mano sarebbe scomparsa — racconta Monica Dengo, calligrafa e ideatrice di corsi di scrittura —. Invece è diventata uno strumento propulsore che ha dato vita a una moltitudine di scritture individuali desiderose di pubblicazione. Allo stesso modo, ora che stiamo gradualmente perdendo la scrittura manuale in favore di quella digitale, ci si rende conto che la calligrafia non serve solo a trasmettere un messaggio, ma anche un bisogno profondo di esprimere la propria specifica, inimitabile personalità». Cambiano le finalità: scrivere a mano porta alla riscoperta della funzione espressiva, al piacere del puro gesto. «Nei corsi si lavora persino sulla scrittura illeggibile: dunque non solo "bella calligrafia", ma una perlustrazione completa del mondo della scrittura manuale, vista anche come arte visiva personale», continua Dengo, che è anche presidente del Centro internazionale di Arti calligrafiche con sedi a Roma e Arezzo.

Stiamo assistendo alla rinascita di una disciplina che, specialmente in Inghilterra, è stata viva fin dagli inizi del secolo scorso, ma che negli ultimi vent'anni ha avuto un grande impulso anche nel resto dell'Europa grazie a molti gruppi di studi di calligrafia occidentale in Giappone, dove la scrittura a mano (shodo, letteralmente «la via della scrittura») è considerata al pari dell'arte figurativa. Solitamente si tende, piuttosto, ad apparentare il tratto intimo e meditativo dell'arte calligrafica alla danza: entrambe implicano il senso dello spazio, del ritmo, dell'azione e persino delle pause. Pratiche del corpo con uno spessore meditativo e corporale che si trova anche nello yoga.


La scrittura corsiva consente al nostro pensiero di arrivare fluido sul foglio, senza particolari cesure, fratture o intermediazioni; in un certo senso è la nostra lingua privata che permette di raccontarci meglio. Oggi però oltre il 40% dei giovani tra i 14 e i 19 anni non sa più utilizzare il corsivo, con il risultato che la fatica raddoppia a prendere appunti durante la lezioni. Quindi per molti è necessario iniziare il percorso da bambini, magari cambiando il metodo di insegnamento. Lo scorso anno la stessa Dengo, insieme con altri calligrafi, ha reintrodotto il corso di calligrafia (cessato nelle scuole negli anni Settanta) all'Istituto paritetico di Terranuova Bracciolini (Arezzo) con un metodo innovativo, in cui viene ripreso il corsivo italico — tipo di carattere a mano le cui semplici forme risalgono al Rinascimento e vengono eseguite con un unico tratto di penna — in una modalità facilitata e più divertente per i bambini rispetto ai quattro tipi di scrittura (stampatello e corsivo minuscolo e maiuscolo) imposti dai programmi ministeriali.

Dunque la voglia di scrivere a mano è un ritorno ai tempi antichi? Un fenomeno vintage? Non proprio. Semplicemente, come scrive anche il sociologo Richard Sennett nel suo L'uomo artigiano (Feltrinelli), un ritorno coscienzioso a saper fare bene le cose, all'apprendimento di una disciplina e all'utilizzo dell'intelligenza della mano. Per affermare la contemporaneità della calligrafia è uscito recentemente il libro Take Your Pleasure Seriously (Lazy Dog Press), dedicato alla figura di Luca Barcellona, classe 1978, nato come writer e graffitista e oggi tra i più stimati calligrafi di lettering artistico e commerciale. Brand e agenzie pubblicitarie sono, infatti, particolarmente attratti dalla grande forza comunicativa del lettering scritto a mano. Ma la rinnovata passione per la calligrafia non deve esser vista come una ribellione al mondo digitale. «In Italia — racconta Roberta Buzzacchino, che usa la calligrafia per realizzare mappe mentali, rappresentazioni grafiche del pensiero attraverso la scrittura radiale — i corsi di calligrafia sono stati promossi attraverso Twitter ideando l'hashtag #scriviamoamano, per dimostrare che anche un momento intimo e personale come la scrittura a mano può essere condiviso e social». La biografia di Steve Jobs, che iniziò la propria avventura proprio con l'iscrizione a un corso di calligrafia presso il Reed College di Portland, diventa un esempio paradigmatico. Come ricorda Jay Elliot in Steve Jobs. L'uomo che ha inventato il futuro (Hoepli) nei suoi appunti da studente, colui che ha ideato l'iPhone e l'iPad scriveva: «È la mano la parte del corpo che più di ogni altra risponde ai comandi del cervello. Se potessimo replicare la mano, avremmo realizzato un prodotto da urlo».

PER APPROFONDIRE: Corsi di calligrafia.


Da "Courriere International" (in lingua francese): 




A l’heure d’Internet, les cours de calligraphie se multiplient en Europe. 
Et les agences publicitaires s’arrachent les professionnels de la discipline.




La nuova vita della carta

Cristiana Raffa

"Corriere - La Lettura", 9 dicembre 2012



Nei Walt Disney and Pixar Animation Studios, in California, dove si va a lavorare in scarpe da ginnastica e si gioca a minigolf in sala riunioni, sono impiegati fino a quindici disegnatori per ogni produzione. Più avanza la tecnologia che rende verosimili le animazioni in pixel, più c’è bisogno di precisi schizzi a matita. I 27.555 disegni per A Bug’s Life sono raddoppiati per Alla ricerca di Nemo, triplicati per Ratatouille, quintuplicati per Ribelle. Quel che fanno dietro le quinte gli animatori lo vediamo ogni volta che viene allestita una mostra che ne celebra la magica attività; è stato così proprio per la retrospettiva sulla Pixar che ha girato il mondo passando anche per l’Italia, o per quella dedicata dal Moma a Tim Burton nel 2009. Ancora oggi, con gli storyboard, lavorano quasi tutti i registi, come ha ben documentato lo scorso anno il Museo del Film e della Televisione di Berlino.

È la carta il trait d’union tra ieri e domani: ieri c’era un mondo che «sulla pasta di carta ha fondato le sue rivoluzioni», come ha scritto il critico americano Clement Greenberg nella sua lettura dell’arte del XX secolo. E domani, forse, anche. La carta è ancora il materiale che consumiamo maggiormente, persino più del cibo. Non è pronta per entrare in un museo, come proponeva provocatoriamente qualche giorno fa Ian Sansom sul quotidiano inglese «The Guardian» (che continua a smentire le voci che ne danno per spacciata la versione cartacea a causa di perdite per 100 mila sterline al giorno), semplicemente perché non è ancora un pezzo da museo. Il processo creativo di chi produce per l’industria culturale e dello spettacolo — anche se il fine è un’interfaccia multimediale — passa ancora da lì. Si pensano su carta le applicazioni per smartphone, che siano giochi o servizi, partendo da strutture che sono trasferite più volte dalla mente al block notes. Spiega Pietro Saccomani, cofondatore di Fifty Pixel, start-up italiana a Londra fornitrice per Groupon e Apple: «Vivendo immersi nella tecnologia abbiamo provato soluzioni completamente digitali — un’ottima app per iPad si chiama proprio Paper — che offrono il vantaggio di rimediare facilmente a un errore o di ripercorrere a ritroso velocemente i progetti, ma nulla ha la flessibilità, la leggerezza e l’immediatezza della carta. Quando programmiamo per mobile o per un sito Internet disegniamo l’interfaccia con un pennarello, così non ci facciamo distrarre dalla tecnologia e ne discutiamo più agevolmente col gruppo di lavoro».

È nato così anche Arduino, l’hardware open source italiano per lo sviluppo di oggetti interattivi che ha cambiato la vita ai «makers» (gli artigiani del digitale) di tutto il mondo. Racconta il suo inventore Massimo Banzi: «Continuo a disegnare architetture e appunti su grandi fogli, anche se i giornali e i libri li leggo ormai solo sul tablet». Che la via stia dunque nella convivenza, magari nella cooperazione, tra i mezzi, senza che l’uno debba necessariamente uccidere l’altro? Per mostrare ai fan come prendono forma i suoi spropositati look, Lady Gaga pubblica su Instagram i bozzetti fatti amano per lei dai grandi stilisti (basta digitare «Gagapedia sketches» su Google). Giorgio Armani, che ha disegnato gli abiti più d’avanguardia per l’ultimo tour della popstar italoamericana, dichiara: «La tecnologia è un acceleratore utilissimo, ma un modellista lavora manualmente: la mano è molto diversa da un tasto, con matita e foglio io tengo fede alla mia origine di designer puro».
Generati da un fumetto analogico sono anche gli uccellini che hanno rivoluzionato la storia dei giochi digitali, gli Angry Birds della finlandese Rovio (lo scorso 8 novembre la versione Star Wars ha segnato un record di downloads sull’AppStore a sole 2 ore dal lancio): «È cominciato tutto quando uno dei designer ci mostrò lo schizzo su carta di un uccellino infuriato perché un maiale verde, probabilmente ammalato di influenza aviaria di cui si parlava in quel periodo, gli aveva rubato le uova», spiega Ville Heijari, vicedirettore della divisione Media Franchise. E cosa ha portato gli sviluppatori Nintendo a continuare la saga di Paper Mario (versione «di carta» dell’idraulico più amato del pianeta) con il nuovo gioco Sticker Star per la consolle 3DS? La «paperisation» dell’icona Super Mario e del suo mondo, col merchandising, ovviamente di carta, che continua ad appassionare i ragazzi.
Alla carta ha reso omaggio la scorsa estate il genio dell’architettura Frank O. Gehry con il grandioso allestimento di un Don Giovanni di Mozart a Los Angeles, fatto completamente di scartoffie. Lui, padre della «paper architecture», dice: «Non posso pensare a un processo creativo senza carta», e continua a insegnarlo ai giovani del suo studio. E se «The Daily», il primo quotidiano solo per iPad pubblicato da Rupert Murdoch, chiude dopo neanche due anni di attività, lontano dagli Usa e dall’Europa i giornali «di carta» stanno vivendo oggi la loro stagione d’oro: in India, Cina, Brasile, Sudafrica avanza una classe media desiderosa di notizie da sfogliare, magari mentre si sorseggia un caffè al bar.
Il nostro rapporto col materiale che più apre le porte alla mente è un bisogno pratico. Non c’è da stupirsi se il foglietto più pop della storia, il Post-it, regga sulmercato nonostante l’aspra concorrenza: oltre 4 miliardi di dollari di fatturato nel 2011, con un segno sempre positivo rispetto agli anni precedenti.
Un caso emblematico per capire quanto sia cieco ipotizzare un’apocalisse del mezzo cartaceo è stato raccontato dal «Wall Street Journal» che ha preso in esame l’iter produttivo di Paperless Post, una delle start-up di maggior successo a New York negli ultimi tre anni, fondata da due ventenni di Harvard. L’azienda, oggi 50 impiegati e 10 milioni di dollari di fatturato, produce dal 2009 biglietti di auguri digitali. Dalmese scorso la svolta: «Abbiamo iniziato a produrre cartoline di carta perché il 50% dei nostri clienti ce le chiedeva, disposti a pagarle 10 volte di più: 2 dollari per cartoline reali, 20 centesimi per quelle virtuali», spiega il fondatore James Hirschfeld, 26 anni, che prevede un futuro ancora ibrido. «Benché avessimo un’impresa che puntava tutto sul digitale — continua —, ci troviamo a invertire parzialmente la rotta. I consumatori ci hanno messo 15 anni per abituarsi all’e-commerce, ora vogliono soluzioni buone sia online che offline. Su questo stanno ora puntando anche grandi portali come Warby Parker, Bonobos, Piperlime».
Se dunque la fruizione prende l’inevitabile (seppure altalenante) strada della smaterializzazione, il processo creativo segue sempre le stesse puntuali logiche (analogiche): una palletta di carta che fa canestro nel cestino, fino al lampo di genio che ci avvicina al futuro.







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